venerdì 26 ottobre 2007

Elogio funebre


Elogio funebre di Iris
Vorrei tornare indietro. Vorrei tornare… non so nemmeno io a quando. Quando ero alla Pizzeria Ternana ed è entrata la Mamma? Quando io e Ibadeth ci facevamo le canne nel giardino di San Nicolò? Quando la Mamma e lo Zio Panda sono andati a Malta, questa primavera, e mia sorella Iris mi disse che ogni tanto sentiva un certo senso di nausea? Invece di offrirle uno spinello avrei dovuto insistere perché si facesse un’ecografia? Ti viene pensato di fare un’ecografia se hai un po’ di nausea? No di certo. Staremmo sempre a fare esami ed accertamenti e la vita se ne andrebbe in TAC e radiografie.
Anche perché… un giorno stai male, poi per mesi non hai niente… e quando stai male ancora è troppo tardi.
Mia sorella Iris è morta il 29 agosto alle 11,25. La mia povera sorellina così educata, così sensibile, che mi correggeva sempre quando usavo espressioni un po’ troppo colorite, che era capace di trovarmi le citazioni dei poeti più famosi, che faceva i conti di casa, mi aggiustava il computer, mi trovava informazioni linguistiche, storiche, geografiche, notizie d’attualità, di politica, di costume. Era un atlante vivente. La mia povera ragazza irlandese, che aveva scritto un libro di poesie, che faceva la consulente informatica.
Non so ancora capacitarmene. La Mamma ha pianto per tre giorni, ma ieri l’ho sentita che diceva allo Zio Panda che io l’avevo scordata. Io. Che noi non siamo sentimentali, che dopo un po’ di tempo ci dimentichiamo dei nostri fratelli, che è giusto che sia così e via discorrendo.
Che ne sa, lei?
E’ tanto intelligente, la Mamma, ma certe volte non capisce.
Fatti conto: Iris si è ammalata definitivamente quando lei e lo Zio Panda erano in vacanza a Palma di Mallorca. Quando sono tornati, Iris non c’era, il dottore l’aveva portata in ambulatorio per degli accertamenti. Odio essere portata in quel posto, e anche Iris lo odiava, ma tant’è… Il giorno dopo l’hanno riportata a casa, ma già si capiva come sarebbe andata a finire. Iris si è nascosta sotto il letto, nella sua cesta. Io non sono andata a farle compagnia, lo so che in quei momenti non vuoi d’attorno nessuno. Loro, invece, no. Quando uno sta male, tutti attorno al suo letto. Solidarietà, la chiamano. Assistenza agli infermi. Chi li capisce è bravo, l’ho sempre detto. In quei momenti, devi star da solo, dico io. Che stress, avere tutti quanti intorno. La Mamma no, la Mamma ha tirato Iris fuori da sotto il letto e l’ha posata sopra, sulle coperte; poi è stata là… fino alla fine. Anch’io sono stata là, seduta vicino a loro sulla coperta rossa, ma secondo me era più la Mamma che aveva bisogno d’appoggio che non la Iris. La mia povera sorella non aveva più bisogno di niente. E meno male che la Mamma l’ha capito e ha smesso di portarla in ambulatorio ogni due per tre, a farle fare il cortisone, le flebo, l’ossigeno, l’ecografia…
Non capiscono, secondo me, non capiscono.
Mica dico che non debbono curarci. Quello no. Vaccino trivalente, contro la FIV, contro la FELV, cure se stai male. Va bene. Ma quando sei al capolinea, basta, dico io. Voi forse gradite avere qualcuno vicino al momento della morte, noi no.
L’autopsia ha stabilito che la mia povera sorellina aveva un tumore che dalla milza si è propagato agli altri organi. E non è stato possibile accorgersene: non ha dato sintomi fino alla fine, quando Iris ha cominciato a vomitare due o tre volte al giorno.
E qui ritorno al quesito iniziale: come si faceva a capirlo?
Ti puoi mica fare una TAC alla settimana per vedere se, tante volte, hai un tumore?
Meglio morire subito senza passare dal via.
La mia povera sorellina color gridellino, con gli occhi verdi. Ghitzmo, la chiamavo io. Come il Gremlin buono, al quale, peraltro, un po’ somigliava. Solo che non aveva paura dell’acqua, anzi. Quando, a San Nicolò, la Mamma annaffiava le piante della terrazza, Iris pretendeva che gliene versasse un po’ nei buchi del naso, poi soffiava e sputava, felicissima.
Certo che era strana, mia sorella. A cena non mangiava, poi la notte alle tre cominciava a battere la ciotola sul parquet finché la Mamma non le tirava un cuscino; piccolo, bianco e rosso, che faceva parte di un set di tre, cucito apposta da sua madre per tirarlo in testa a lei senza farle male…
Certo che è strana anche la Mamma, però.
Ma di lei si sa.
Chiamava Iris con una caterva di nomi: Iris, Pici (da Pc, diminutivo che indica i computer), Pici-Micia, Piciola, O Picina, Opicina, Opi, Opy Ciolayna… Le scandiva sempre uno slogan che suonava pressappoco così:

"Opy/Ciolayna/per te finisce male…"

[Pare che negli anni Settanta, quando la Mamma andava a scuola, gli studenti in rivolta scandissero uno slogan analogo durante le loro manifestazioni, dedicato a un tal Giorgio Almirante, che all’epoca era segretario di un partito chiamato "Movimento Sociale Italiano" (oggi "Alleanza Nazionale") Lo slogan diceva: "Almirante/ maiale/ per te finisce male!"].
La "Iris Consulting" è passata a mio fratello Edoardo, l’avvocato (non so cosa voglia farne, penso che voglia conservarla); a me Iris ha lasciato la sua auto, un Duetto verde d’epoca sul quale lei andava vestita con abiti attillati, occhiali neri ed un foulard alla Isadora Duncan; i suoi libri e i diritti d’autore delle sue raccolte di poesie…
Le conoscevo già (Iris le scriveva quando studiava, a Pisa, e me le mandava per lettera, una alla settimana); non posso dire di averle capite, ma mi piacevano. Le ho imparate a memoria. Eccone una. L’ha scritta quando faceva il primo anno d’università.

Aurea
Sulle stalagmiti di conchiglie
la città volante sfavilla nel sole che tramonta.
I ponti, l'acqua lucida, gli archi,
i tetti, le insegne, i cancelli ricurvi
tutto si perde nel riflesso rosato
del corso turchino del fiume.
Sventola la bandiera libera,
infioccata,
sul pennone corre lo scintillio del sole,
le nuvole azzurre non l'oscurano.



Non ho mai capito di che città parlasse; la Mamma dice che è un luogo della mente, ma io, si sa, scarseggio d’astrazione…