sabato 2 maggio 2009

La beata Sluminga da Gottinga, i simboli fallici e gli hot-dog

Stamattina sentivo il Bimbo che, al piano di sotto, cantava:



Estaba la beata un dia
enferma del mal de amor
él que tenia la culpa era el fraile confesor

Ho riconosciuto una canzone del povero Victor Jara e sono stata assalita dal forte sospetto che il Bimbo stesse ancora studiando le vite dei Santi… Infatti così era: stavolta stava scrivendo la recensione di un testo risalente all’Anno Mille (penso avesse i microfilm, dubito assai che glielo abbiano dato in prestito, specie con la Bimba che si aggira nei dintorni) dedicato alla vita e alle pie opere della beata Sluminga da Gottinga (tutti lui, li trova).
Il testo è intitolato De beata Sluminga quae penes ubique videbat… ovvero La beata Sluminga che vedeva cazzi in ogni dove. Vi si narra della vita della povera pastorella Sluminga, nata circa nel 950 in terre germaniche, in un miserando abituro che condivideva con il padre, coltivatore di senape, e otto fratelli che, sostiene l’ignoto autore, bis in diem quandoque bini de illa uti erant… ovvero la violentavano una volta al giorno, uno alla volta e talora anche in coppia (ci credo poveraccia che vedeva bischeri dovunque, mi son detta). All’età di tredici anni l’infelice pischella, che mangiava minestra di radici selvatiche e insalata di trifoglio una volta alla settimana e che sognava sempre fave, piselli, cetrioli e zucchine, ebbe la gioia sovrannaturale di vedersi miracolosamente apparire San Sughero piangente sopra l’abbeveratoio delle pecore. Il Santo le consigliò di allontanarsi dalla sua mefitica famiglia (grazie al cavolo, ci voleva l’intervento divino, glielo dicevo io gratis), di darsi a una vita di penitenza e di percorrere l’Europa per estirpare, dovunque fosse, il Maligno sotto forma di membri virili, sia autentici sia in effigie.
La fanciulla obbedì e, per espiare le sue colpe, prese a spalmarsi sul corpo gran copia di senape piccante, quindi si dedicò gagliardamente alla caccia al pisello. Ovunque scorgesse qualche fallico simulacro, lo seppelliva immantinente sotto palate di senape piccante finché miracolosamente il sordido oggetto non scompariva e la folla ignara gridava al miracolo.
Giunse una sera presso una stazione di posta in terre bavaresi, dove laidi avventori tracannavano birra in sbreccate terraglie di coccio, e vide l’oste intento ad arrostire delle lunghe salsicce di forma cilindrica; scorgendo in esse salsicce simboli fallici, la pia fanciulla si dette ad urlare invocazioni al suo Santo protettore (la cui effigie portava sempre in seno) e cominciò a gettar palate di senape piccante sopra gli osceni oggetti. Il caso volle che l’oste in questione, un pagano alieno da qualsivoglia timor divino (ma non di birra, evidentemente), invece di gridare al miracolo, brandisse lo spiedo che usava per i polli ed inseguisse l’infelice in mezzo alle case diroccate del paese fino a che non l’ebbe infilzata come un porchetto e lasciata del tutto priva di vita; dopo di che, lanciando invettive alla povera martirizzata (in cui parve agli avventori di capire “ Grosses Arschloch " e "il budello di tu’ ma’ cane morta e viva nel casino…") servì ugualmente in tavola le salsicce così sconciate, che tuttavia grande apprezzamento riscossero fra gli avventori della sinistra taverna….

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Ma la poverella era una vittima di padre e fratelli, perchè mai avrebbe dovuto darsi ad una vita di penitenza?? Pentirsi di cosa? Mi sa che 'sto san Sughero era un bischero anche lui.

Susanna ha detto...

Sai com'è, ti ricordi Matelda in Brancaleone alle Crociate?...
Le stuprate un po' di colpa l'avevano sempre...

Anonimo ha detto...

Questo tuo uso del tempo imperfetto forse non è del tutto corretto...Diciamo pure che per qualcuno ce l'hanno ancora, la colpa.
Ciao!

Susanna ha detto...

Giusto!