venerdì 21 maggio 2010

I tristi calici


Lo diceva Susanna lo scorso dicembre, mostrando una foto della porta che dà sul cortile di Scubidù e Asiak, allora in restauro.
Susanna se n'è andata e la dolce primavera non è mai arrivata. Il cortile è stato restaurato, abbellito con panchine di legno e qualche rosaio... Lucy K.K. vi ha piantato due piccoli cespugli d'uva spina. Nella pergola sono state installate alcune lampade.
Il cortile non è stato mai usato, nessuno di noi animali si è mai accucciato sotto la pergola per bere vino bianco dai calici. Un po' perché da dicembre dello scorso anno nevica, piove, diluvia, soffia il vento e fischia la bufera. Un po' (tanto) perché non ci sono più tra noi Charlie e Susanna, andati via nel giro di due mesi.
Principia male, il 2010, fidatevi.
Per risollevare Asiak e Arturo dalla depressione, il furetto ha proposto una piccola cena ed un brindisi agli amici scomparsi, la prossima domenica. Verranno Megalo ed Edoardo, Martino, Pinca e Pallina, Otocioni, Licaoni e Ametiste del Nilo al gran completo e berranno il vino bianco sotto la pergola, sperando che Susanna e Charlie partecipino da lontano.

domenica 9 maggio 2010

Tra Corso Vannucci e il West


shulamith
Inserito originariamente da susannucciauccia

Anch’io ho un piccolo mistero casareccio da raccontarti” mi ha detto ieri Maria Grata Li Greci, la candida micia siciliana che fa l’anestesista e la danzatrice del ventre nel tempo libero. O il contrario, a seconda della prospettiva.
Eravamo a pranzo nei pressi dell’ospedale, lei era in pausa ed è venuta con me a mangiare un piatto di croccantini presso il triste bar dell’Ospedale Silvestrini.

Ero studentessa all’Università, ero venuta dalla Sicilia, stavo a pensione presso il gattile di Collestrada e avevo fatto amicizia con un’altra gatta siciliana di nome Rosa, che veniva da Messina. Rosa studiava filosofia e spesso si accompagnava con discutibili figuri. Non che fosse una gatta poco seria, sia chiaro, sospetto solo fosse afflitta da una cronica insicurezza e probabilmente bisogno d'affetto, che la spingeva sovente a mescolarsi con tipi che avrebbe fatto meglio a lasciar perdere. Durante la nostra amicizia, che non è sopravvissuta agli anni dell’Università, ne ha cambiati alcuni, che a me parevano uno peggiore dell'altro.
Il più simpatico di loro, e quello che è stato più a lungo con lei, era un suo compagno d’università, che si chiamava Mike Di Prinzio ed era americano. Era un tasso, diceva di venire da Newark, dove era nato e vissuto con la sua famiglia, ovviamente originaria dell’Italia meridionale, credo dell’Abruzzo – il nonno era emigrato in America negli Anni Venti, mi pare, ma i genitori di Mike erano nati a Madison, nel New Jersey, e la madre di lui non conosceva una parola d’italiano. Erano una famiglia molto snob: il padre era direttore di banca, la madre gestiva un’agenzia immobiliare e avevano mandato il figlio a studiare in Italia per conoscere la terra dei suoi avi.
Questo è quello che andava affabulando Mike. Rosa diceva che un giorno o l’altro sarebbe andata con lui in America a conoscerne la famiglia e la cosa la metteva un po’ in apprensione. Rosa era una gatta semplice e simpatica, studiava con un buon profitto, ma non aveva ambizioni di far chissà cosa con la sua laurea. Soprattutto, non sapeva cucinare, il che la faceva sentire abbastanza insicura -pare che la madre americana di Mike fosse una cuoca sopraffina. Mascherava la sua insicurezza con una perenne vivacità che si scontrava con un analogo atteggiamento, condito da aggressività, da parte di Mike: erano simpatici, ma diciamo che andavano presi a piccole dosi, perché erano brillanti, spiritosi, facevano battute a raffica, cantavano, ballavano e non di rado litigavano furiosamente per ore davanti a tutti.
Un giorno si lasciarono. Qualche tempo dopo, Rosa mi confidò, in gran segreto, che non ne poteva più di Mike perché, tra le altre cose, era un bugiardo patologico. Pare che non fosse affatto americano, ma che provenisse da un paese in provincia di Teramo, Martinsicuro, altro che Madison; che i suoi genitori possedessero lì un mini-market e non avessero nemmeno la terza media. Che in America non ci avesse mai messo piede.
Rimasi sconcertata. Mike aveva convinto anche me: parlava bene l’italiano, ma con un plausibilissimo accento americano e talvolta incappava in plausibilissimi errori. Peraltro, parlava inglese alla perfezione. Come sarebbe a dire che era di Teramo?
Ti giuro, mi diceva Rosa, era italianissimo, come me e te. Di Prinzio Michele. Non ha mai voluto farmi conoscere i suoi perché sarebbe crollato tutto il suo castello di balle. Avrei visto che sua madre vendeva stracci e scope in un negozietto, che parlava dialetto e che era grassa e sciatta, che suo padre era un simpatico grezzone con i baffi a manubrio che passava metà giornata in canottiera ad affettare mortadella alle casalinghe abruzzesi.
Mi chiedevo, stupefatta, perché Mike si fosse preso il disturbo d’inventare un edificio di menzogne così elaborato. Forse aveva capito che le studentesse perugine erano esterofile e voleva diventare popolare? O forse s’era sempre condotto così, non distinguendo la realtà dalla fantasia e riuscendo persino ad ingannare i professori universitari, che cercavano d’aiutarlo agli esami ed erano più generosi, in considerazione del grande sforzo d’un giovane straniero che tenta di esprimersi in una lingua non sua? Non lo seppi mai, perché Rosa non volle mai scendere in particolari, nonostante mie reiterate insistenze (“Chiedi a Sandra, fatti raccontare da lei tutti i retroscena, vedrai che ti farai due risate…”). Non incontrai più Mike Di Prinzio e raramente vidi Rosa, che dopo la laurea era andata a lavorare ad Arezzo in una ditta di alimenti per cani e gatti. Interpellai la nostra comune amica Sandra, che non si mostrò la gran miniera d’informazioni favoleggiata da Rosa: mi guardò sorpresa e mi chiese: “E perché Rosa ti ha mandato a chiederlo a me? Io non è che ne so tanto… so che Rosa m’ha detto che è italiano, che non è per niente americano e che le ha detto – ci ha detto - un mucchio di stronzate…”
Bon, le cose sarebbero rimaste lì, io mi sarei accontentata di etichettare Mike Di Prinzio come un bugiardo patologico e non ci avrei più pensato. Senonché, un giorno incontrai una mia amica che fa l’avvocato in centro e che si occupava di diritto dell’immigrazione. Per lavoro, quindi, frequenta parecchi stranieri e, benché non abbia mai avuto Mike come cliente, lo conosce, così come parecchi suoi amici. Pettegolando di questo e di quello, io arrivai a raccontarle la storia di Rosa e Mike e lei mi guardò con espressione stranita. Che stai dicendo, mi disse quieta, certo che è americano. Ha anche preso lezioni d’italiano da un’insegnante amica mia, quando è arrivato a Perugia. I suoi documenti non li ho mai visti, ma ho avuto a che fare con molti amici suoi, due o tre hanno vissuto con lui. E nessuno s’è sognato di dirmi che non sia americano...
Dopo avermi raccontato questa sconcertante storiella, Maria Grata si è alzata, si è spazzolata il camice e s’è avviata verso il suo reparto. Io le camminavo accanto impensierita e le ho chiesto come fosse andata a finire.
Non è andata a finire” ha riso lei. “Mike non l’ho più visto. E in ogni caso non è che se vedo uno dopo tanti anni, lo saluto chiedendogli se è vero che quattro anni fa ha raccontato un sacco di balle. Rosa la sento, ogni tanto, ma dopo aver lanciato la bomba s'è ammutolita: rifiuta di parlarne e ripete come un mantra ‘ Chiedilo a Sandra, chiedilo a Sandra’
La quale non ne sa niente” ho detto io ridendo.
No, mi ripete di domandarlo a Rosa” ha sghignazzato Maria Grata, salutandomi all’ingresso del reparto.

venerdì 7 maggio 2010

Una strage annunciata


teschio minaccioso
Inserito originariamente da susannucciauccia

Sei nell'ufficio postale centrale della città e ti metti in coda col tuo biglietto, poniamo il 786. Ogni sportello ha il suo display rosso col numeretto che sta servendo in quel momento. In mezzo alla sala, appeso al soffitto, troneggia un display più grande dove tu puoi seguire l'andamento dei turni e lo smistamento degli sportelli.
Sul megadisplay c'è il 785.
Tu aspetti fiduciosa. Ancora un numero e tocca a te.
Dopo un minuto il 785 scatta e ... deng... appare il 786.
Il tuo.
Ti alzi con la tua raccomandata e vai verso lo sportello, ma il tipo che aveva il 785 non ha ancora finito e non si schioda.
Tu aspetti fremente sbattendo la coda dietro la linea gialla.
Deng! Scatta anche il 787, ma il tizio del 785 non ha ancora finito di conferire con l'impiegato e non ti lascia accedere allo sportello.
Quando finalmente se ne va, scatta il 788. DENG! Ca va sans dire.
Tu ti avvicini, mostri il tuo biglietto e l'impiegato, stolido, gracchia: "788! Venga il 788! Che vuole lei, col 786? Perché non s'è svegliata prima?" e se protesti: "Ci stia attenta, ai numeri, eccheccappero!"

E poi dice che uno non deve emulare Michael Douglas in Un giorno d'ordinaria follia...

martedì 4 maggio 2010

Misteri dolorosi e non sempre gaudiosi


Nora
Inserito originariamente da susannucciauccia


Uno degli scritti di Susanna, che ho ritrovato sulla sua scrivania, parla di misteri. No, non come quelli narrati nell’indegna trasmissione di Italia 1. Nemmeno come quelli offerti a man salva dai libri gialli. I gialli di Susanna erano più casarecci, se vogliamo. E visto che anche il mio amico Aldo ha pubblicato un post dedicato ai misteri irrisolti con cui spesso uno si trova a fare i conti nella vita, voglio contribuire anch’io con qualcuno dei modesti enigmi che voleva proporci Susanna.
Glielo aveva raccontato la sua Mamma, che molti anni fa (si parla degli anni Ottanta) viveva con una bella gattona di nome Nora, calicò come Susanna, ma dal pessimo carattere. Potete vedere Nora nella foto: la risoluzione non è un gran che, ma forse contribuisce a dare l’idea dell’oscuro mistero.
La Mamma di Susanna nel luglio del 1980 era andata in vacanza in Sicilia e aveva lasciato ad occuparsi di Nora le sue zie, che abitavano nello stesso palazzo. Ogni due o tre giorni telefonava a casa per avere notizie (di Nora e delle zie). Un mattino, alla telefonata rispose una giovane cugina, che si mostrò abbastanza evasiva alla richiesta di notizie della gatta; dopo aver farfugliato qualcosa, affermò enfaticamente che la micia stava bene. Quell'enfasi ingenerò nella Mamma di Susanna molti sospetti, ma non poté appurare nulla di più, visto che la cugina insisteva nella sua versione apparentemente tranquillizzante.
Tornata a casa, all’aereoporto l’attendeva la sorella maggiore della cugina, che, nel tragitto di ritorno, cominciò col dirle cautamente che Nora stava sì bene, adesso; che non si doveva spaventare se la vedeva tutta fasciata, che la sua ferita era più impressionante che grave e cose simili. Alle allibite richieste della Mamma di Susanna (lo sapevo, che c'era qualcosa!), la cugina narrò che la gattina qualche giorno prima era caduta dalla terrazza, al terzo piano, si era ferita, era stata curata dal veterinario ed ora si avviava alla guarigione.
Il mistero stava nel fatto che nessuno sapeva spiegarle come avesse fatto la gatta a cadere dalla terrazza.

Si è spaventata, le dissero.
Spaventata di che? Aveva un caratteraccio, ma non era una gatta timorosa. Oltre tutto, conosceva benissimo sia le zie sia le cugine che sovente andavano a trovarla.
Sì, ma forse stavolta era andato a casa sua lo zio Lorenzo, marito di una delle zie. (Come, forse? c'era andato o non c'era andato?). Sai com’è, Nora viveva in una casa di femmine, non era abituata a sentire voci maschili e, sentendone una, s’era imbizzarrita, magari era saltata sul davanzale della terrazza ed era scivolata….
La Mamma di Susanna accettò questa versione, fino a quando lo zio Lorenzo, uomo piuttosto stravagante nei modi e che talvolta, negli anni passati, si era mostrato inspiegabilmente aggressivo verso i nipoti, non ruppe improvvisamente i rapporti con la famiglia della moglie, senza che alla Mamma di Susanna venisse spiegato il perché. (Era ed è una famiglia alquanto misteriosa: le cose non venivano riferite mai, c’era una reticenza diffusa). Ogni volta che lo zio Lorenzo incontrava per strada qualcuno dei parenti della moglie, tirava dritto fingendo di non conoscerlo.
Ovviamente una ridda di dicerie sullo strambo tizio si diffuse nella famiglia, e ci fu chi insinuò – ritrattando subito dopo – che fosse stato lo stesso zio Lorenzo anni prima a scaraventare la gatta Nora dal terzo piano, infastidito dal fatto che sua moglie andava spesso a portare cibo all’animale. La Mamma di Susanna s’incazzò come una iena, ma non avendo le prove, non si mosse; nel frattempo lo zio Lorenzo si ammalò e morì, assistito dalla moglie e dalle zie, con le quali, in articulo mortis, s’era riappacificato.
La Mamma di Susanna ancora oggi non sa cosa fosse veramente successo a Nora, quel pomeriggio torrido del 1980. Lo zio Lorenzo è morto da anni; la stessa Nora era mancata nel 1988 (e, in ogni caso, non aveva riferito alcunché); sua madre e le zie sostengono di non saper nulla; la cugina che fece l’insinuazione sostiene di averlo sentito dire dalla nonna… venuta a mancare nel 1993. La vedova dello zio Lorenzo è stata sempre succuba del marito, che sosteneva a spada tratta e reputava l’uomo più intelligente, più equilibrato, più colto e più generoso della terra (mah), pertanto sarebbe la persona meno adatta da interrogare.
Insomma, ancora oggi nessuno sa che cosa successe veramente alla Nora quel pomeriggio estivo.
O meglio: secondo la Mamma di Susanna lo sanno tutti. E’ lei, l’unica ad ignorarlo…