domenica 16 dicembre 2007

Food Farm e relativo viale di pini


Il Pino 2
Inserito originariamente da susannucciauccia

La FoodFarm


La FoodFarm
Inserito originariamente da susannucciauccia
Aiuto! Sono ancora sbronza da ieri sera, allorché si è data la mega-inaugurazione della Food Farm! Ben presto vi racconterò le inenarrabili gesta che ivi si verificarono... anche se Megalo mi fa notare, piuttosto acidamente, che se sono inenarrabili potrei anche fare a meno di narrarle...

venerdì 14 dicembre 2007

Il giardino di Susanna


Susanna mimosa
Inserito originariamente da susannucciauccia

Non posseggo un parco né un giardino all'italiana, come si suol dire. Italiano è italiano (del resto vivo in Italia, grazie tante). Questo è il mio giardino... al massimo ci coltivo la Maria insieme a Ibadeth. Avevo pensato di far credere che fosse una mia foto presa nella giungla, ma penso che il vaso sottostante avrebbe originato qualche dubbio sulla mia bona fide.
Se ci fosse ancora Iris, mi sarei almeno fatta insegnare come modificare le foto digitali... ma Iris non c'è più e, in ogni caso, non so se si sarebbe prestata alla frode.
Non credo.

giovedì 13 dicembre 2007

Elogio funebre della Chicca


Lo spiritello
Ieri ero rientrata da una serata in provincia di Arezzo e in casa tutti già dormivano. La casa era già parzialmente addobbata per Natale. Era accesa solo la lampada a colonna dietro lo scrittoio. La casa era piena d’ombre. Dietro lo scaffale una tenue luminescenza verde acqua. Iris
I contorni erano sfumati, era incorporea. Dietro a lei, due occhi azzurri.
Uno spiritello. Chicca, la vecchia Chicca. Nel frattempo se n’è andata anche lei, dopo diciotto giorni di quieta agonia.
- Chi siete, i fantasmi dei Natali passati? –
- Spiritosa – Chicca mi ha fatto un soffio ed è scomparsa dietro l’albero di Natale.

Eppure le volevo bene. Anche se con noi era tutt’altro che cordiale. Tollerava Martino, andava d’accordo con Edoardo, ma non si può dire che fossero amici.
Gatti siamesi, li chiamano, anche se non c’entrano niente col Siam: sono di fabbricazione inglese, si dice. Ora li chiamano "Thai".
Allora perché diceva d’essere magrebina?
Ne diceva tante…
Stava per compiere vent’anni, quattordici dei quali passati in casa della madre dello Zio Panda, la Signora Elena, una signora gentile e di buon gusto (perché amava i gatti, naturally), leggeva gialli e cucinava minestre di cereali. Cinque anni fa, la Signora Elena è morta di tumore alle cellule di Schwann, suo marito se n’è andato e Chicca e suo figlio Charlie (o Kameela e Jalal, come amavano farsi chiamare) erano venuti a vivere con noi.
Sono vissuti con noi cinque anni. Mi sembrano tanto pochi.
Un’altra cosa che si dice è che i siamesi non mangiano pesce. A Chicca, invece, piaceva da matti. Spesso prendeva la sua spider e se ne andava a Marina Romea, a farsi una scorpacciata di pesce alla "Cubana" insieme al suo papà adottivo.
Soffriva d’insufficienza renale cronica. Praticamente i reni non le funzionavano ed è morta avvelenata. La malattia le era stata diagnosticata cinque anni fa, e la prognosi era che sarebbe andata avanti al massimo per cinque anni… come è in effetti successo. Quando un gatto ha l’insufficienza renale cronica non c’è molto che si possa fare, tranne fargli sempre trovare acqua fresca, dargli uno speciale tipo di spezzatino (GD, Renal) ed evitare cibi proteici come carne o pesce (capirete, che gli dai a un gatto, la macedonia di frutta?). E se mancano le proteine, manca anche il tono muscolare. Chicca infatti era piccolina, esile e morbida.
E ringhiosa, ma intelligente e, a modo suo, una vera signora. Non polemizzava mai per avere il pranzo, come fa di solito Edoardo (detto "Miles Standish Rice, l’Affamato"), ma si metteva seduta, composta e silenziosa, di fronte al frigo; e aspettava.
Spiritello, la chiamava la Mamma. Diceva che attraverso i suoi occhi la Signora Elena la guardava. Durante le serate estive, la Mamma e la Chicca si sdraiavano in terrazza sotto il cielo stellato a guardare le colline e aspettavano che la Signora Elena transitasse nell’oscurità, fra le nuvole.
Mi sono resa conto che stavo da sola accanto alla libreria, nel buio, a ricordare i miei amichevoli fantasmi. Ho dato un’occhiata al luccichìo argentato dei fili dell’albero e alla lampada in fondo alla sala. Ibadeth stava raggomitolata dentro la capanna del Presepe sulla mensola, accanto al Bambino. Mi ha guardato con occhi frangiati da lunghe ciglia e si è rimessa a dormire. Ero stanca. Sono andata nella mia camera, sotto il letto della Mamma, pensando che la cosa era… come dire?… un tantino blasfema?

domenica 2 dicembre 2007

Le rotonde comuniste


Roundabout

Parlerò di te
Con gli amici miei,
quando sarai lontano….

Questa non l’ha scritta Jerry, è di Gilda Giuliani, e me la canta sempre mia sorella Megalo quando vado a trovarla a Marsciano.
Megalo è una gatta persiana nera. Come fa, dite, ad essere mia sorella? La mia vera madre era una gatta persiana, ça va sans dire. Megalo vive a Marsciano, è stata adottata dalla signora Galiana, una ex-allieva della Mamma quando insegnava alle scuola serali, e da Gloria, sua figlia. E’ fissata con Gilda Giuliani, è iscritta al Fan Club e va sempre ad assistere ai suoi concerti (che, ultimamente, non sono tanti, peraltro). Di professione fa l’avvocato divorzista e lavora nello studio legale di mio fratello Edoardo; tuttavia, non ne condivide le idee politiche. Megalo, infatti, è comunista e, quando lei ed Edoardo sono in pausa e vanno a pranzo al "Salice Verde" non fanno altro che discutere e non di rado lanciarsi stoviglie.
Ultimamente, Edoardo ce l’ha con le rotonde. O rotatorie, che dir si voglia.
E’ sua ferrea convinzione che gli enti locali debbano spendere il meno possibile per la cosa pubblica; per lui i Comuni dovrebbero limitarsi ad un’appena dignitosa manutenzione di strade, fognature ed edifici d’uso comune, senza sprecare denaro in quisquilie tipo sanità, trasporti, turismo o cultura e, soprattutto, senza tartassare i poveri cittadini con gabelle e balzelli iniqui e voraci. Bersaglio dei suoi strali velenosi sono in primis il nuovo minimetro, che sta per essere inaugurato a Perugia (oddìo, la frase è iperbolica: è una storia infinita, il minimetro sembra la previsione della fine nel mondo nelle profezie dei Testimoni di Geova, la spostano sempre un po’ più in là) e, soprattutto le rotatorie che in parecchi incroci stanno sostituendo i semafori. Mia sorella Megalo gli ribatte, manco a dirlo, colpo su colpo (e talvolta non solo metaforicamente): ella sostiene che le rotonde snelliscono di molto il traffico, fanno risparmiare energia elettrica e offrono un colpo d’occhio migliore, con le loro aiuole bordate di fiori, di cespugli d’erbe aromatiche, qualche olivo, qualche opera d’arte concettuale. Qualcuna ha addirittura la fontana! E questo mi sembra un po’ esagerato; quanto verrà a costare una fontana, cinquantamila euro? Magari si poteva destinarli a qualcos’altro, un macchinario per l’ospedale o qualcosa di utile… Ma non divaghiamo, se no attizziamo ulteriormente l’astio di Edoardo nei confronti delle rotonde. Fontane a parte, a me le rotonde piacciono, sono con Megalo quando dice che sono utili e per di più graziose; ma Edoardo quando le sente nominare o ci deve girare attorno con la sua Mercedes diventa una bestia – ed essendo un gatto non fa molta fatica, a mio parere.
"I comunisti!" ruggisce. (Dove li vedrà i comunisti, vorrei tanto sapere. Ce ne saranno rimasti una cinquantina in tutta la regione).
"Le rotonde!" ulula.
E poi, perfetta triade hegeliana stile tesi-antitesi-sintesi: "Le rotonde comuniste!!!!"
Insomma, pare che per lui i comunisti non sappiano fare altro (oltre che far pagare tasse ai poveri industriali e agli infelici capitalisti) che costruire rotonde per ogni dove. O che le rotatorie le costruiscano solo i Comuni governati dalle sinistre, non so. Lui vede questo misterioso e sotterraneo legame tra comunisti e rotatorie. Megalo tuttavia una volta mi ha spiegato che, secondo lei, Edoardo ha ragione, che un legame c’è. Quale sarebbe? Il semaforo è di destra, dice lei. Tu lo vedi, ti dà un ordine, a seconda del colore. Ti comanda di fermarti e ti dice lui quando ripartire. Tu devi solo obbedire e non preoccuparti d’altro. La rotonda, invece, presuppone certo che tu segua delle regole (nel loro caso, una sola: chi viaggia al centro della rotatoria ha sempre la precedenza), ma che debba essere tu a capire quando è il caso di passare, cooperando con gli altri automobilisti per la gestione di entrate ed uscite. Quindi sì, da questo punto di vista la rotonda è collettivamente autogestita ed è certamente di sinistra…
Io e Megalo ci ridiamo spesso, e anche la Mamma e lo Zio Panda, che hanno inventato un gioco, quello di individuare la rotonda più bella, che, manco a dirlo, sarà quella più comunista. "Guarda com’è comunista questa rotonda" dicono, di una rotatoria particolarmente leggiadra. "Questa è socialista" se la rotatoria in questione è carina, ma niente di che. "Questa è una rotonda extra-parlamentare!" una volta che ne hanno vista una (quella di Marsciano prima del ponte sul Nestore, tanto per non fare nomi) particolarmente stipata di fiori, cespugli e fontana.
(Qualcuno di voi ne ha individuata una particolarmente comunista? Mandatemela, specificando il luogo e le vostre generalità e, possibilmente, allegando una foto del roundabout in questione. Non vincerete un tubo, naturally, ma contribuirete all’edificazione di un grande collage interattivo che io e Megalo abbiamo intenzione di regalare a Edoardo per Natale… anche se, senza l’ausilio di Iris, non so come faremo… Ci aiuterà lo Zio Panda, se è in buona. Ci pensate, che smatro? Una serie di icone a grandezza diseguale raffiguranti rotatorie; in mezzo, cartigli con falce e martello e, sullo sfondo, gli argentei vagoncini del minimetro che volteggiano tra le nuvole…
Gli piglierà male, già me lo vedo).

giovedì 29 novembre 2007

Madama Grazia e la grande inaugurazione della Food Farm

Che vuol dire SMS?
Sabato 1° dicembre e domenica 2 dicembre finalmente apre la Food Farm (www.foodfarm.it). Era ora, direi: saranno due mesi che Baedyn va di lungo con questa storia e ci dà il tormento a tutti quanti.
Baedyn il vombato, come sapete, lavorerà lì: è stato – secondo me insensatamente – assunto dalla signora Grazia, la proprietaria dell’azienda, in qualità di factotum (e anche di attrazione per i futuri clienti, sospetto. Dove mai s'è visto un vombato che incarta file di salsicce?). Questo fine settimana ci sarà l’inaugurazione, dalle quattro e mezza in poi: sarà offerto un rinfresco che, se Madama Grazia terrà fede alla sua fama di cuoca, sarà sublime. Mio fratello Martino, il rabbino, scuote la testa scettico, giacché, essendo un ebreo ovviamente osservante, non vede di buon occhio la consumazione dei derivati di un animale impuro quale il maiale; e all’Agricola Mariotti (la casa-madre della Food Farm) allevano per l'appunto suini a ciclo chiuso (ovvero li nutrono coi sani prodotti dell’azienda) e ne fanno gustosi prosciutti, salsicce, capocolli, coppe e via estasiandosi. Ca va sans dire: i Licaoni del Liscio suoneranno all’inaugurazione e Maysa la lince si esibirà nella danza del doppio bastone… sempre che, tanto bene per il fine-settimana, non decida di essere musulmana. In tal caso avanzerà le stesse obiezioni di Martino alla consumazione del maiale e ciao.
Ieri il pomeriggio è stato comico perché Baedyn è stato incaricato da Madama Grazia di pubblicizzare l’inaugurazione del negozio via SMS. Quello scemo è stato tutta la sera chiuso in bagno a pestare sui tasti del cellulare (sembrava di stare nella sala giochi della Neuro); ma il top del delirio si è raggiunto a sentire lui e Madama Grazia che, per telefono, componevano il suggestivo testo del messaggio. "Sabato 1 dicembre e domenica 2 dicembre inaugura la Food Farm, negozio di prelibatezze umbre…" e Baedyn squittiva "Scriviamoci che offriremo dolci!" "Ma sei scemo, i dolci per ora non ci abbiamo la licenza!" nitriva Madama Grazia in fibrillazione atriale. "Scriviamo che i salami sono di produzione propria!" "Sì, e anche che ci saranno giochi e svaghi!" ululava Baedyn. "E mettici anche che…" . Lo Zio Panda, passando accanto al telefono, ha bofonchiato che SMS significa "Short Message Service" (messaggi brevi) e non "Long and Interminable Pappardelle"…

martedì 20 novembre 2007

Lo sposalizio di Ibadeth


Ibadeth e Tarquinius
Ibadeth Hysa, dicevo, è la mia migliore amica. La Mamma è la Mamma, alla mia povera sorellina Iris ero (sono) molto affezionata, ma Ibadeth me la sono scelta io. Sì, lo so che non è una riflessione originale, ma non ho firmato un contratto per inventare nuove e rivoluzionarie teorie, le note musicali sette sono e sette resteranno…
L’ho conosciuta nell’orto dietro la "Pizzeria ternana". Era salita su un lavatoio che si trovava sotto una pergola, forse per stendersi a prendere il sole (è molto freddolosa) ed è stata adocchiata dalla donna di servizio la quale, presumo per semplice, tranquilla e limpida malvagità, l’ha colpita con uno straccio e l’ha buttata in un secchio pieno d’acqua che si trovava a fianco del lavatoio. Penso che intendesse lasciarla annegare, ma per fortuna il recipiente non era pieno e Ibadeth è riuscita a tenere la testa fuori dall’acqua… senza tuttavia riuscire a scalare le pareti del secchio. E’ rimasta lì per due giorni tenendo la capoccetta fuori dall’acqua putrida, fino a che non è arrivata la bambina Anna Laura, di anni otto, che ne ha avuto pietà e l’ha tirata fuori, portandola dentro la pizzeria, al caldo nella cesta con me ed i miei fratelli. Che non se la sono mangiata perché in quella fase lei era più grossa di loro; dopo, abbiamo fatto amicizia, ci siamo presentati… e, come dice Alice in Attraverso lo specchio, mica si può mangiare qualcuno a cui si è stati presentati!
Ibadeth viene da Elbasan, Albania, dove suonava il violino in un’orchestrina itinerante e scalcinata che, ad un certo punto, ha deciso di tassarsi, affittare un gommone e tentare l’espatrio attraverso l’Adriatico. Dopo tre giorni di mare in burrasca (Ibadeth comincia ad avere una certa qual avversione nei confronti dell’acqua, dolce o salata), sono sbarcati ad Ancona. Da lì la mia amica è salita su un TIR che trasportava polli e quando uno di questi ha tentato di mangiarsela, ha ritenuto opportuno effettuare il trasbordo verso uno che trasportava fibre ottiche nella zona del marscianese ed è così che è finita nell’orto retrostante la "Pizzeria Ternana".
Com’è che ha conosciuto Tarquinius?
Il merito è in parte il mio, perché una sera, trovando il telefono della pizzeria incustodito, ho chiamato l’Ufficio Informazioni e sono riuscita a farmi dare il numero della sua famiglia in Albania. Ho parlato con suo padre, che a Elbasan faceva il fornaio, ma che era rimasto senza lavoro, e l’ho convinto a venire in Italia, assicurandogli che avrei parlato con i proprietari della pizzeria, che cercavano per l’appunto un pizzaiolo, e che li avrei persuasi ad assumerlo. Il padre di Ibadeth acconsentì a venire a Marsciano nel giro di una quindicina di giorni.
Il giorno in cui sarebbe dovuto arrivare… Ibadeth ricevette una telefonata dal cellulare di suo padre, un apparecchio antiquato che lui aveva comperato al mercato nero a Tirana. Da quel che si poteva capire, era ad Antivari. A far cosa? si chiese perplessa Ibadeth. Due ore dopo, chiamò da Bari, ma Ibadeth non riuscì a captarne le parole e si ripromise, non appena il padre fosse arrivato, di regalargli un apparecchio nuovo… Qualche ora dopo, chiamò da Roma, ma le parve avesse una voce strana. Alle sette di sera, un SMS le annunciò che stava arrivando a Marsciano ed un’ora dopo, uno strano personaggio si presentò alla porta della "Pizzeria Ternana". Era un suricate, di nome Tarquinius Lalibela, abbigliato con un paio di calzoni grigi a righe dorate ed un bolero nero, una fisarmonica appesa al collo ed una valigia in cui (l’avrei scoperto dopo) teneva sgorbie e tavolette di legno per incidere i suoi lavori; e ci ha raccontato quella che, a mio parere, è la storia più triste del mondo. Il papà di Ibadeth non solo non era arrivato in Italia, ma non era manco partito: la sera prima era morto investito da un’auto in una stradina di campagna vicino Elbasan e lui lo aveva trovato abbandonato vicino ad un canale di scolo. Lo aveva seppellito ed era venuto fino in Italia per dare di persona la notizia alla figlia, non parendogli il caso che la poveretta la apprendesse per telefono o, peggio ancora, da qualche poliziotto albanese scocciato e demotivato (come pare siano un po' tutti).
Tarquinius era stato rifocillato da Francesca ed Anna Laura con grande quantità di sfincioni ed arancini siciliani, quindi aveva deciso di rimanere a Marsciano e farsi assumere per qualche mese nella locale fabbrica di mobili da giardino. Quando Ibadeth ed io ci siamo trasferite a casa della Mamma (prima a San Nicolò, poi a Perugia), Tarquinius si è fatto assumere presso un laboratorio artigianale di restauro nelle campagne del perugino e, dopo qualche mese, lui e Ibadeth si sono sposati.

Madonna, che razza di sposalizio è stato mai quello. I festeggiamenti sono durati tre giorni, la "Pizzeria Ternana" ha fornito il catering (pizze, arancini, sfincioni e cassate siciliane a sfascio), i "Licaoni del Liscio" e gli "Otocioni" hanno suonato ininterrottamente (e talvolta contemporaneamente, con un suggestivo effetto di straniamento); è venuta la Contessa che ha regalato agli sposi un arazzo medioevale raffigurante una scena infernale (un po’ inquietante, peraltro); è venuta l’Angiolina (la fidanzata ottantenne dell’avvocatone Sullivan) con le figliole; è venuto Michelangelo Er Pantegana, che si è sbronzato come una pigna e ha cantato una romanza a suo dire dedicata a lui, che cominciava con le parole "Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende..." (io non sono affatto sicura che le parole alludano a lui, ma tant’è, basta convincersi delle cose). Ramon Llull Costa i Llobera, il pondenco ibicenco marito della lince Maysa, era alla consolle e faceva il dj. La Iris, Dio la riposi, si era occupata dell’arredamento, l’Ingegnerone, il diavolo lo riposi, litigava col pipistrello Filòstrato per motivi politici e gli diceva che aveva una visione confusa della situazione socio-economica attuale. Martino e Baedyn, accompagnati da Ibadeth al violino, hanno cantato una canzone scritta da loro che s’intitolava "Zio Panda, trovaci un topo". Kevin Fontecupa ha offerto metadone a tutti (alla Contessa ha fatto un effettaccio). Tina la piovra si è esibita in una serie di cori alpini, accompagnata da mio fratello Edoardo e dalle altre sue personalità dissociate (Miciox X e Er Sogliola, che ha fatto amicizia con Michelangelo Er Pantegana e a un certo punto sono andati via insieme). Maysa, nella sua fase musulmana, si è esibita in una danza orientale coi sagath (cimbali) e col candelabro (e ha dato fuoco alle tende del ristorante, ma tutti hanno pensato che facesse parte della coreografia; in particolare la Contessa, in trip lisergico, ha biascicato che la scena era davvero psichedelica). Il licaone Aristogìtone tentava d’insegnare alla Bimba a suonare le percussioni sulla testa del Bimbo, mentre l’otocione Jerry serviva vassoi fumanti di ravioli "Foresta Nera" al ragù come dessert. La torta nuziale era stata offerta dalla gastronomia "Le cose buone" di Ferrara: si trattava di una tenerina ricoperta da crema Chantilly e amarene glassate, molto leggera e delicata. La cerimonia si è chiusa con il pezzo forte degli "Otocioni", un brano scritto da Jerry, un misto di raga e rock duro che ha mandato in visibilio gli astanti (o in crisi anafilattica, come insinua Edoardo, il solito malfidato), il cui testo riporto di seguito.
Tu non sai
(di Von Strohmenger-Gebratmaryam)

Tu non sai,
no, non ne sai niente, tu,
cosa pretendi di sapere, tu?
Non credo che tu sappia,
anzi, ne sono sicuro,
più che sicuro.
Credi forse d’ingannarmi?
Di sapere più di me, forse?
Ma non farmi ridere, suvvia.
Tu non sai,
direi che tu ignori,
direi che il mondo ti è sconosciuto,
che tutto ti è ignoto,
che tutto è nuovo, per te,
che vivi inconsapevole,
che intorno a te regna il disorientamento,
che rimani allibito di fronte alla realtà,
che non sai una sana mazza.
Tu non sai.

giovedì 15 novembre 2007

Gli Otocioni (seconda parte)

Il Ratto delle Sabine
Alla chitarra solista c’è un panda rosso, Fulgenzio Planciade Dixit. E’ nepalese e si è trasferito in Italia perché non ne poteva più degli italiani che venivano a visitare il Nepal per cercare la droga. Dice che qui a Perugia ne vede di meno. Di italiani, intendo. Non di droga. Quella, dice, è uguale.
Essendo omosessuale, convive saltuariamente con il suo rude fidanzato, Michelangelo Storace, per gli amici Er Pantegana, che possiede una bottega a Manciano Sabina in cui lavora il ferro battuto (fa le croci per i cimiteri e gli angeli per i cancelli dei medesimi, tanto per fare due risate). Il suo curioso soprannome deriva anche dal fatto che Michelangelo Storace è un ratto; la bottega di sua proprietà è infatti denominata "Il Ratto delle Sabine". Di musica non sa niente e niente vuole sapere: il suo unico hobby è il tiro al piattello.

Jerry e i "Foresta Nera"
Ho lasciato per ultimo il cantante solista perché è un otocione … ce ne voleva pure uno, nel gruppo, si chiama "Gli Otocioni", dopo tutto. Inoltre è il più tranquillo, che Iddio lo benedica. Si chiama Jerusalem Gebratmaryam (detto Jerry) e nella vita è il segretario ufficiale dell’associazione culturale "Vivere con lentezza".
Jerry proviene dall’Etiopia (è venuto col conestoga e ci ha messo sei anni e tre mesi). Il suo progetto è coniugare il rock con le raga indiane, cosa che lascia perplessi un po’ tutti quanti, ma lui è superiore a queste cose. Va matto per le frittate al dragoncello e per uno strano tipo di ravioli, detti i "Foresta Nera", che si fa venire da una gastronomia ferrarese che si fregia del titolo, semplice ma veritiero, de "Le cose buone". L’ha scoperta un’estate in cui era andato a Ferrara per il Festival dei Buskers. La bottega si trova in periferia, sulla via per Ravenna, ed è gestita da un amico dello Zio Panda e della Mamma (ecco come poi Jerry è approdato qui). Il nostro otocione ed i suoi amici vi erano entrati attirati dalle variopinte ciotole di cassata siciliana che il proprietario aveva in quel momento esposto in vetrina. Dopo un’orgia trimalcionica e collettiva a base di cassata, Jerry aveva adocchiato un vassoio di ravioli neri e aveva chiesto lumi; informato del fatto che trattavasi di ravioli al radicchio, denominati "Foresta Nera", aveva voluto assaggiarne un piatto con il ragù (e, dopo la cassata siciliana, ci voleva il coraggio suo). Folgorato come San Paolo sulla via di Damasco, aveva sottoscritto un abbonamento a vita con "Le cose buone" e si era anche offerto di esibirsi gratis nel locale ogniqualvolta Luca (il master of the house) lo avesse desiderato.

Hard Grind Bifolk Rock: gli Otocioni

Gli Otocioni
Gli Otocioni sono la mia più profonda ed autentica vocazione. … E’ la band per mantenere la quale ho ripiegato sul liscio più bieco Io sono una musicista rock, fondamentalmente; ma, come dice sempre lo Zio Panda, musicisti rock ne vendono a tazze come i lupini, laonde o puoi vantare conoscenze in altissimo loco (tipo il Papa è mio zio, Condoleezza mi ha fatto da madrina alla Cresima e via viscideggiando) oppure offri un prodotto assolutamente originale… Noi suoniamo un rock duro (di comprendonio, insinua mio fratello l’avvocato) ed abbiamo ideato un nuovo genere musicale, l’Hard Grind Folk Rock. Edoardo una volta è venuto a sentirci suonare (ci esibivamo in un pub presso il Tribunale) e, una tantum, ci ha apprezzato molto: ha detto che ci trovava molto più che folk, che eravamo doppiamente folk, e ha suggerito per il nostro genere la dicitura "bifolk". Il suggerimento ci è piaciuto e l’abbiamo subito inserito nel nostro manifesto (elaborato da Tarquinius Lalibela, lo sposo della mia amica Ibadeth; è lui l’artista, ancorché appartenga al versante licaonico).
Manco a dirlo, mio fratello Edoardo, tanto per non smentire la sgradevolezza di tratto che raramente l’abbandona, ha fatto ipotesi più che ingiuriose sulle sfere concentriche che circondano nel manifesto il nome della band, definendole "palle" e collegando in qualche modo tale dicitura alle nostre performances…

Io, Susanna von Strohmenger, suono la seconda chitarra ritmica.
Alle tastiere c’è Tina. Tina in verità si chiama Annunziata Scognamiglio, come si può intuire facilmente dal nome è nata a Bassano del Grappa, è emigrata giovanissima con la sua famiglia negli Stati Uniti e ha lavorato per anni a New York, come lavavetri alle Torri Gemelle. Rimasta da qualche anno disoccupata, non so perché, è tornata in Italia e si è fatta assumere, sempre in qualità di lavavetri, alle Quattro Torri di San Mariano, anche se brontola sempre che non è proprio la stessa cosa. Dimenticavo di dirvi che Tina è una piovra. E’ buddista, vive in un ashram dal lunedì al venerdì ed è appassionata di film sulla Mafia siciliana. Sostiene che parlano di lei. Secondo me, ci ha i deliri di riferimento.

La percussionista della band è Maysa Noura, una lince libanese. Quando le gira è cristiano-maronita (scassa-maroni, più che altro: è sempre in polemica con tutti), si dice musulmana se è di buon umore (vale a dire: quasi mai). E’ laureata in Scienze Naturali presso l’Accademia dei Lincei, ma è affetta dalla sindrome di Tourette, per cui dal lunedì al venerdì è sotto farmaci, che nel fine settimana sospende; dice che per suonare la tabla il Tourette aiuta. E’ sposata da anni ad un pondenco ibicenco, di nome Ramon Llull Costa i Llobera, che d’estate fa il dj a Ibiza sua patria e d’inverno insegna il catalano alle scuole differenziali.

Un bassista, la FoodFarm e una stazione paleolitica
Al basso c’è un vombato, dal suggestivo nome di Baedyn Yirrkala. E’ australiano, viene dal Golfo di Carpentaria e non è genialissimo, infatti s’intende molto con mio fratello Martino (che coppiola). Nel nostro gruppo suona il didjeridoo, ma per vivere fa il disoccupato… anche se sostiene di aver trovato un impiego presso un negozio di Gastronomia di prossima apertura, il "FoodFarm" di Pila. Evidentemente sono malfidati, al "FoodFarm" e vogliono essere sicuri che il dipendente non gli ciuli la merce: con Baedyn vanno tranquilli giacché è assolutamente vegetariano e lì, invece, hanno ogni sorta di squisitezze, e fatte tutte a mano! (del tipo salsicce secche, salami, prosciutti stagionati a Norcia e via sbavando). L’impiego glielo ha trovato la Mamma; la proprietaria della "FoodFarm" è una sua amica (credo fosse una sua ex-collega insegnante, ora in pensione), che cucina in maniera non divina: di più! Già quando facevano teatro insieme organizzava pranzi e merende a base di manicaretti da leccarsi le orecchie, tipo torte al formaggio, pane ripieno, ciaramicole, maccheroni dolci… La bottega si trova incastonata nelle dolci colline presso Perugia, su una terrazza naturale calcarea, cui si accede attraverso due lunghi viali di pini (da lì la dicitura "Il Pino", forse scarsamente creativa, ma senz’altro azzeccata). Non solo la bottega, ma anche il sito è ricco di storia: la terrazza era una stazione paleolitica, vi sono state trovate punte di frecce, selci e raschiatoi, risalenti a circa un milione di anni fa (giorno più giorno meno), ma vi sono anche una torre tra i vigneti ed una chiesa medioevale, la chiesetta di Santa Maria Maddalena del Pino. Una sera quello scemo di Martino è andato al Pino a prendere Baedyn con il malandato sidecar di cui si giova per recarsi alle funzioni del tempio (il che mi sembra assai poco dignitoso, fra l’altro) e il bizzarro veicolo, giunto nell’aia di fronte alla "Food Farm", ha esalato l’ultimo respiro, lasciandoli a piedi sotto i pini. Dato che Baedyn gli aveva raccontato che il luogo era una stazione paleolitica, si son messi giustamente lì ad aspettare il treno, con pazienza perché i treni del Paleolitico non sono, immaginavano i due pisquani, proprio all’avanguardia. Manco a dirlo la mattina dopo alle cinque erano ancora lì, gelati, schiumanti e bestemmianti. Martino poi, che è un rabbino, saprà bene quel che dice…

Alla batteria abbiamo un oritteropo, Kevin Fontecupa. Dopo Maysa, è quello che ci dà più problemi perché è un ex-tossicodipendente. E’ di origine africana, ma è stato adottato da una famiglia di Bevagna, con la quale però ha avuto sempre problemi: ha lasciato la scuola, è scappato di casa, è stato arrestato per vari furti allo scopo di procurarsi l’eroina. Adesso vive in una Casa-Famiglia a Greppolischieto, e tutti i giorni va al SERT e scala il metadone, ma ha sempre i nervi a pezzi.

martedì 13 novembre 2007

Jalal (o Charlie?). Magrebino (o siamese?)


Ciarlestrone
Inserito originariamente da susannucciauccia

Questa è la foto del pensionante magrebino di cui ho parlato in un post precedente. Qui egli (esso) si trova mollemente sdraiato su un'ottomana situata nella tenda su cui mia sorella Iris (Dio l'abbia in gloria) ha pisciato senza pietà, per manifestare il suo profondo dispregio al soggetto in questione...

giovedì 1 novembre 2007

Disturbo Post-Traumatico da Stress (ovvero: mi fanno una sega a me i Thugs)


Voi lo sapete che cos’è il PTSD?
Io non lo sapevo, l’ho scoperto per motivi scolastici. E’ l’acronimo di Post Traumatic Stress Disorder, ovvero Disturbo Post-Traumatico da Stress. Nel DSM-IV (il Manuale Statistico dei Disturbi Mentali di cui mi sembra d’avervi già parlato e sicuramente a sproposito), lo trovereste fra i cosiddetti Disturbi Affettivi, codificati in Asse 1 (dove si trovano i disturbi di stato, ossia quelli che forse, e dico forse, si possono anche guarire, ma non è detto): la depressione, la mania, i disturbi d’ansia e via folleggiando. Il PTSD è per l’appunto un disturbo d’ansia.
Perché ve ne parlo, fondamentalmente? Uno perché io sono laureanda in psicologia, come ben sapete; due perché costituisce l’argomento di una tesina che mi è stata assegnata durante un’esercitazione di Psicopatologia generale dal professor Biancamagnolia, per uno degli ultimi esami che sto faticosamente preparando intanto che elaboro la tesi… di cui vi parlerò un dì o l’altro.
Il lavoro, in collaborazione con la cattedra di Psicologia dell’Arte e della Letteratura, consiste nell’analisi di un caso letterario o cinematografico relativo ad un qualche disturbo (di Asse 1 o di Asse 2) e nella elaborazione di un tentativo di terapia (espressiva, supportiva o cognitivo-comportamentale, a seconda).
A me è stato assegnato per l’appunto il PTSD (meglio limitarsi alla sigla sennò qui facciamo notte) ed io ho scelto un romanzo di Emilio Salgari dal titolo I pirati della Malesia. La scelta è stata motivata da profonde ed ineffabili ragioni di superiore armonia: la Mamma è un’appassionata lettrice dei romanzi di Salgari (e notate bene che ho detto E’, non ERA: se li rilegge ancora benché veleggi verso la quinta decade) e in casa ce li ha quasi tutti, sicché io non ho dovuto far altro che tirare giù con grazia dallo scaffale il volume relativo ed immergermi nello studio… dopo essermi beccata una ciabattata dallo Zio Panda, che alle tre e tre quarti del mattino aveva persino la pretesa di dormire e non era entusiasta di essere stato destato da sinistri tonfi di ponderosi volumi sull’impiantito. Che mania, anche quella. Di notte si lavora così bene, ci si vede meglio…
Chi li capisce è bravo, dico io.
Comunque sia, ne I pirati della Malesia si trova la menzione di un classico caso di PTSD e financo la descrizione di una terapia… che però sospetto non susciterebbe l’entusiasmo del professor Biancamagnolia né tampoco di uno qualsiasi degli altri psichiatri dell’Ateneo.
Ve la ricordate la storia, posto che la conosciate? Sandokan, il capo delle Tigri della Malesia, ferocissima gang di pirati con base a Mompracem, Oceano Indiano (credo: a geografia sono un cane, ah-ah) e il suo fido luogotenente Yanez de Gomera salvano un indiano, tale Kammamuri, che porta seco una meravigliosa fanciulla di quindici anni (roba da pedofili conclamati) di nome Ada Corishant. La ragazzina è sbrigativamente definita "pazza" (pazza come? Schizofrenica? borderline? schizotipica? Sentiva le voci, ci aveva l’Alzheimer, i deliri parafrenici, la sindrome di Cotard…?…). La sua pazzia derivava (per chi non avesse letto il romanzo precedente, I misteri della giungla nera), dall’essere stata preda, per anni, di una setta di strangolatori indiani, i Thugs, in qualità di Vergine della Pagoda (ruolo che a mio parere avrebbe fatto incretinire chiunque); dall’aver dovuto assistere ad una serie di truci ed orride cerimonie propiziatorie per la sanguinaria Dea Kalì (che mangia il riso e caca i supplì) ed infine dal tentativo, ad opera del tristo capo dei Thugs, Suyodhana, di uccidere il di lei fidanzato, Tremal-Naik, che aveva losche mire sulla Vergine della Pagoda (in primis, quella di far in modo che l’appellativo divenisse fuori luogo). Nel corso di un drammatico confronto sotto le volte dei sotterranei di una pagoda delle Sunderbunds, Tremal-Naik, il padre di Ada e il bieco Suyodhana si affrontano e se le danno di santa comunione. Il capo dei Thugs si dà alla fuga urlando: "Andate! Ci rivedremo nella giungla!". Il padre di Ada viene massacrato, Tremal-Naik viene arrestato come Thug e deportato, Suyodhana scompare e non mi ricordo che fine fa; ma è ininfluente. Comprensibile che dopo tutta questa caterva di assalti, stragi, sangue che schizza sui muri e sacrifici di vario tipo, Ada Corishant dia fuori di matto. Come si esprime la sua follia? Di solito se ne resta immobile, inespressiva, a guardare fissa davanti a sé, se vede uomini chiede, come un disco rotto: "Dei Thugs?" e il fedele servo Kammamuri, paziente "No, padrona, non sono Thugs". Guai a nominarle il fidanzato, a suonarle sadicamente un pezzo per ramsinga o a mostrarle un laccio o un’effigie di Kalì, perché "fugge e per parecchi giorni delira".
Direi che è un caso abbastanza chiaro di Disturbo Post-traumatico da Stress, che viene così descritto nel mitico DSM-IV:

La persona è stata esposta ad un evento traumatico in cui erano presenti le seguenti caratteristiche:
- ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con eventi che implicavano morte o minaccia di morte o gravi lesioni all’integrità fisica propria o di altri;
- la risposta comprendeva intensa paura e sentimenti di orrore;
- l’evento traumatico è persistentemente rivissuto mediante ricordi intrusivi, ricorrenti e spiacevoli, sogni ricorrenti, episodi dissociativi di flashback, allucinazioni od illusioni;
- la persona prova disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti che assomiglino in qualche modo all’evento traumatico;
- prova altresì ansia e preoccupazione eccessive;
- il disagio è clinicamente significativo e si accompagna a menomazioni del funzionamento sociale o in altre aree.

Il che si adatta a meraviglia al bizzarro comportamento della Vergine della Pagoda – ormai fuori servizio per cause di forza maggiore, peraltro. Il suo funzionamento sociale era, a dir poco carente; la sua conversazione assai poco variegata.
Come si cura un disturbo del genere? Dicono i testi: farmacoterapia e psicoterapia. Grazie al cavolo, glielo dicevo io gratis. Ma che tipo di psicoterapia?
Quella espressiva no di sicuro. La terapia espressiva, per gli ignoranti che non lo sapessero, si basa su un accuratissimo scavo interiore, un trapanamento tale di tutti gli anfratti dell’inconscio che se non ci hai le palle esagonali e niente di terrificante da nascondere non sopravvivi. Mi spiego meglio: se subisco un trauma particolarmente atroce, magari non voglio stare a pensarci ogni momento e quindi lo nego, lo seppellisco nelle più profonde budella della coscienza e non voglio pensarci più. Chiaro che a questo punto non gradisco che qualche pisquano me lo vada a ritirar fuori e me lo sbatta sotto il naso, perché se no vado in pezzi e non mi riappiccico più manco col Bostik. La catarsi emotiva (che schifo, sembra una brutta cosa) non è sempre utile, anzi, in taluni casi può essere financo dannosa, per esprimersi elegantemente; le esperienze traumatiche sono state scisse dal paziente (scisse vuol dire escluse, buttate via) e non è quasi mai consigliabile l’integrazione di esse nella coscienza, perché la ricostruzione del trauma sopraffà il malato e lo manda incontro ad un peggioramento clinico. E ciao.
Questo sostengono psichiatri come Krystal, West, Coburn, Lindy… ma al nostro amico Sandokan gli fa un baffo Krystal. La Tigre della Malesia adotta un altro approccio al problema del DPTS, un approccio che definire altamente espressivo è un eufemismo e che se lo propongo al professor Biancamagnolia mi piglia a calci in culo da qui all’eternità.
Il capo dei Tigrotti di Mompracem, quando il suo fido Yanez arriva all’isola con Kammamuri e con la Vergine della Pagoda, riceve un trauma (anche lui), perché Ada Corishant, oltre ad essere la cugina dell’adorata e defuntissima moglie Marianna, le assomiglia come una goccia d’acqua, anche se in bruno. Commosso dalla storia che gli narra Kammamuri, decide di liberare il suo padrone Tremal-Naik dalla galera (detto e fatto) e far tornare in sé la giovane Ada. Come cazzo avrà fatto, non lo so; trattasi di un romanzo, ma io non oso pensare a cosa gli sarebbe successo se per davvero fosse stato uno psichiatra e avesse adottato come terapia un metodo tanto balordo.

Vi aspettavo - diss'egli muovendo loro incontro. - Tutto è pronto.
- Che cosa è pronto? - chiese Tremal-Naik.
- Ciò che deve far riacquistare la ragione alla vergine della pagoda. –
Prese per mano i due amici e li condusse nell'interno di una vastissima capanna che occupava quasi l'intero recinto del forte, un tempo destinato a contenere una guarnigione e gran copia di viveri e di munizioni.Tremal-Naik e Yanez mandarono un grido di sorpresa.
L'ampia sala, in poche ore, era stata trasformata, per opera di Sandokan, di Kammamuri e dei pirati, in un'orribile caverna che a Tremal-Naik ricordava, in parte, il tempio dei thugs indiani, dove il truce Suyodhana aveva compiuto la sua spaventevole vendetta.
Una infinità di rami resinosi accesi spandevano all'intorno una luce azzurrognola, livida, spettrale. Qua e là erano stati accumulati massi enormi e rizzati tronchi d'alberi che potevano passare per colonne, adorni di mostri d'argilla rozzamente plasmati rappresentanti Visnù, il dio conservatore degli indiani, il quale ha la sua residenza nel Vaicondu o mare di latte del serpente Adissescien, ed altri dèi cateri, giganteschi geni malvagi che, divisi in cinque tribù, vanno errando per il mondo dal quale non possono uscire né meritare la beatitudine promessa agli uomini, se non dopo aver raccolto un certo numero di preghiere. Nel mezzo si ergeva una statua, pure d'argilla, orribile a vedersi.
Aveva quattro braccia, una lingua smisurata e i suoi piedi posavano sopra un cadavere. Dinanzi a quel mostro era collocata una vaschetta entro la quale nuotava un pesciolino.
- Dove siamo noi? - chiese Yanez, guardando con stupore quei mostri e quelle torce.
- In una pagoda dei thugs indiani - disse Sandokan.
- Chi ha fatto tutti questi brutti mostri?-
- Noi, fratello.
- In così poche ore?-
- Tutto si fa, quando si vuole.
- Chi è quella brutta figura che ha quattro braccia?
- Kalì, la dea dei thugs - rispose Tremal-Naik che l'aveva riconosciuta.
- Vi sembra, Tremal-Naik, che questa pagoda improvvisata somigli a quella dei thugs?
- Sì, Tigre della Malesia. Ma che cosa volete fare?
- Uditemi.-
- Vi ascoltiamo.
- Io credo che solamente una straordinaria impressione possa far riacquistare la ragione a Ada.
- Anch'io sono del tuo parere, Sandokan - disse Yanez, - e comprendo il tuo piano. Tu vuoi ripetere la scena che accadde nella pagoda dei thugs quando Tremal-Naik si presentò a Suyodhana.
- Sì, Yanez, è proprio così. Io sarò il capo dei thugs e ripeterò le parole pronunciate dal terribile uomo in quella notte fatale.
- E i thugs? - chiese Tremal-Naik.
- I thugs saranno i miei uomini - disse Sandokan. - Sono stati istruiti da Kammamuri.
- Avanti dunque.
Sandokan accostò alle labbra il fischietto d'argento ed emise un suono acuto. Subito trenta dayachi seminudi coi fianchi stretti da un laccio di fibre di rotang e con un serpente dalla testa di donna dipinto in mezzo al petto entrarono nella grande capanna schierandosi ai lati della mostruosa divinità dei Thugs.
- Perché hanno quel serpente sul petto? - chiese Yanez
- Tutti i thugs hanno un tatuaggio simile - rispose Tremal-Naik.
- Kammamuri non ha dimenticato nulla a quanto pare.
- Siete pronti? - chiese Sandokan.
- Tutti - risposero i dayachi.
- Yanez - disse allora Sandokan, - ti affido una parte importante.
- Che cosa devo fare?
- Tu che sei un bianco, devi rappresentare il padre di Ada. Guiderai gli altri pirati che fingeranno di essere i sipai indiani e farai quanto ti dice Kammamuri.
- Sta bene.
- Quando io fingerò di assalirti fuori del forte, cadrai dinanzi a Ada come morto.- Fidati di me, fratello. Ognuno al suo posto
Tremal-Naik, Yanez e Kammamuri uscirono, mentre Sandokan si fermava dinanzi alla statua della dea Kalì e i dayachi, i finti thugs, si schieravano ai suoi lati.Ad un cenno della Tigre, un pirata percosse dodici volte una specie di gong che era stato trovato in un angolo del fortino.
All'ultimo colpo la porta del capannone s'aprì e la vergine della pagoda entrò sorretta da due dayachi.
- Avanzati, vergine della pagoda - disse Sandokan con voce grave, - Suyodhana te lo comanda.
A quel nome di Suyodhana, la pazza si era arrestata, liberandosi dalle braccia dei due pirati. Il suo sguardo, improvvisamente acceso e dilatato, si fissò su Sandokan, che stava ritto in mezzo alla pagoda, poi sui dayachi che conservarono una immobilità assoluta e da ultimo sulla dea Kalì. Un fremito agitò il suo corpo e alcune rughe si disegnarono sulla nivea fronte.
- Kalì - mormorò con un accento nel quale si sentiva una vibrazione di terrore. - I thugs...
Si avanzò di alcuni passi continuando a volgere lo sguardo ora su Sandokan, ora sui pirati, ora sulla mostruosa divinità dei thugs, poi si passò due o tre volte la mano sulla fronte e parve che facesse un supremo sforzo per richiamare alla memoria una qualche orribile scena.
D'improvviso Tremal-Naik irruppe nella pagoda e le si slanciò incontro gridando:
- Ada!...
La giovinetta si era arrestata di colpo; il suo volto era diventato pallidissimo e manifestava una inesprimibile ansietà. I suoi occhi, che pareva perdessero a poco a poco quella luce strana, propria dei pazzi, si fissavano su Tremal-Naik.
- Ada!... - ripeté questi con voce straziante. - Ritorna in te!...
In quell'istante si udì una voce gridare:
- Fuoco!
Alcuni spari rimbombarono sulla soglia della pagoda ed un gruppo di uomini guidati da Yanez irruppe nell'interno, mentre i dayachi, come i thugs in quella fatale notte, fuggivano in tutte le direzioni.
Ada era rimasta immobile. Ad un tratto trasalì, poi si curvò innanzi, come se cercasse di raccogliere il rumore di una nuova scarica o qualche altra voce.Sandokan si era fermato all'estremità della pagoda e non la perdeva di vista. Comprese ciò che aspettava ancora la disgraziata?... Forse, poiché con voce tonante si mise a gridare, come aveva gridato il feroce Suyodhana:
- Andate!... Ci rivedremo nella jungla!...
Aveva appena pronunciate quelle parole che un urlo acutissimo irrompeva dalle labbra della pazza.
Fece un passo innanzi col viso sconvolto, le braccia alzate, barcollò, girò su se stessa e cadde fra le braccia di Yanez.
- Morta!... morta!... - urlò Tremal-Naik con accento disperato.
- No - disse Sandokan. - Ella è salva! (salva una sega).
Appoggiò una mano sul petto della vergine. Il cuore batteva, debolmente sì, ma batteva.
- È svenuta - diss'egli.
- Allora è salva - disse Yanez.
- Fosse vero! - esclamò Tremal-Naik che rideva e piangeva ad un tempo.
Kammamuri ritornava con dell'acqua. Sandokan spruzzò a più riprese il viso della giovinetta e attese che ella ritornasse in sé.
Passarono alcuni minuti, poi un sospiro profondo uscì dalle labbra della fanciulla.
- Sta per rinvenire - disse Sandokan.
- Devo rimanere qui? - chiese Tremal-Naik.
- No - rispose Sandokan. - Quando noi le avremo narrato ogni cosa, vi manderemo a chiamare.
L'indiano gettò un lungo sguardo sulla vergine della pagoda e uscì soffocando un singhiozzo.
- Speri, Sandokan? - chiese Yanez.
- Molto - rispose il pirata. - Domani questi due infelici potranno unirsi per sempre.
- E noi...
- Zitto, Yanez: apre gli occhi.
La giovinetta infatti ritornava in sé. Mandò un secondo sospiro più lungo del primo, poi aprì gli occhi fissandoli su Sandokan e Yanez. Il suo sguardo non era più torbido; era limpido, era lo sguardo di una donna che non era più pazza.
- Dove sono? - chiese con voce debole, cercando di alzarsi.
- Fra amici, signora - disse Sandokan.
- Ma che cos'è successo? - mormorò. - Ho sognato? Dove sono?... Chi siete voi?
- Signora - disse Sandokan, - vi ripeto che siete fra amici. Cos'è successo, mi chiedete? Vi dirò che non siete più pazza.
- Pazza?... pazza?... - esclamò la ragazza con sorpresa. - Ero pazza io? Non ho sognato, dunque? Ah... mi ricordo... È orribile... È orribile...
Uno scoppio di pianto soffocò la sua voce.
- Calmatevi, signora - disse Sandokan. - Qui non correte alcun pericolo. Suyodhana non esiste più e thugs qui non ce ne sono. Non siamo in India, ma nel Borneo.
Con uno sforzo Ada si rizzò in piedi e, afferrando strettamente le mani di Sandokan, gli disse piangendo:
- In nome di Dio, ditemi ciò che è successo e chi siete voi. Mi sembra di non comprendere più nulla.
Erano le domande che Sandokan aspettava. Allora con voce grave le narrò succintamente tutto quello che era accaduto prima in India, poi a Mompracem e da ultimo nel Borneo.
- Ora - concluse Sandokan, - se amate ancora Tremal-Naik, il coraggioso indiano che per voi ha compiuto miracoli, ad un vostro cenno egli sarà alle vostre ginocchia.
- Se lo amo!... - esclamò Ada. - Dov'è? Lasciate che lo riveda dopo una così lunga separazione!.
- Tremal-Naik!... - gridò Yanez.
L'indiano si precipitò nella pagoda e cadde ai piedi di Ada, esclamando:
- Mia!... Ancora mia!... Dimmelo ancora una volta, Ada, che sarai mia moglie!...
La giovinetta posò le mani sul capo del fidanzato:
- Sì, sarò tua moglie - diss'ella. - Mio padre mi ha promessa a te, e t'amo ancora.

Bello, però. La Mamma dice che ogni volta che lo rilegge si commuove. Strampalato, ma di grande effetto scenico. Chiaro che non è così che funziona, che il metodo – se pure ne esiste uno – per curare un tizio affetto da PTSD è molto meno suggestivo e più laborioso e consiste nella desensibilizzazione o nell’ipnoterapia. Anche con la terapia comportamentale è d'uopo andare cauti, dicono, perché tocca essere rilassati e chi ci ha il PTSD di capacità di calmarsi ce ne ha pochina.
Mi sono divertita ad immaginare il Sandokan nei panni dello psicoterapeuta che aveva in cura Ada Corishant e ad immaginare una scena più realistica – ma, chissà perché non mi è riuscito. Me lo figuro, la Tigre della Malesia, seduto in un’ottomana dorata, in una stanza riccamente addobbata con tendaggi di seta e damasco, bracieri dove bruciano incensi (alla faccia della 626), sciabole, scimitarre, pugnali appesi alle pareti (tanto per indurre un senso di sicurezza e relax nel paziente, vero), maschere tribali d’oro incrostate (che schifo) di rubini e smeraldi, con Ada Corishant distesa su un lettino riccamente intagliato di legno di tek con intarsi di agata e ametista (ma come mi vengon pensate codeste stramberie), che scava nel suo passato (Ada Corishant ebbe forse una precoce separazione dai genitori? visse forse in un ambiente connotato da ansia e nervosismo? Dice che il padre era un capitano dell’esercito inglese che l’aveva piantata in asso per andare a combattere contro gli indipendentisti indiani; ci credo che quasi quasi era meglio fare la vestale dei Thugs) e che le fa la desensibilizzazione sistematica. Che fa, prima le mostra un braccio della Dea Kalì (che come sapete ne ha quattro…otto… o sedici, boh; meglio in ogni caso non starle a tiro), la seduta dopo gliene mostra un altro, poi le suona "Era meglio morire da piccoli" col ramsinga
L’immaginazione mi tradisce.

venerdì 26 ottobre 2007

Elogio funebre


Elogio funebre di Iris
Vorrei tornare indietro. Vorrei tornare… non so nemmeno io a quando. Quando ero alla Pizzeria Ternana ed è entrata la Mamma? Quando io e Ibadeth ci facevamo le canne nel giardino di San Nicolò? Quando la Mamma e lo Zio Panda sono andati a Malta, questa primavera, e mia sorella Iris mi disse che ogni tanto sentiva un certo senso di nausea? Invece di offrirle uno spinello avrei dovuto insistere perché si facesse un’ecografia? Ti viene pensato di fare un’ecografia se hai un po’ di nausea? No di certo. Staremmo sempre a fare esami ed accertamenti e la vita se ne andrebbe in TAC e radiografie.
Anche perché… un giorno stai male, poi per mesi non hai niente… e quando stai male ancora è troppo tardi.
Mia sorella Iris è morta il 29 agosto alle 11,25. La mia povera sorellina così educata, così sensibile, che mi correggeva sempre quando usavo espressioni un po’ troppo colorite, che era capace di trovarmi le citazioni dei poeti più famosi, che faceva i conti di casa, mi aggiustava il computer, mi trovava informazioni linguistiche, storiche, geografiche, notizie d’attualità, di politica, di costume. Era un atlante vivente. La mia povera ragazza irlandese, che aveva scritto un libro di poesie, che faceva la consulente informatica.
Non so ancora capacitarmene. La Mamma ha pianto per tre giorni, ma ieri l’ho sentita che diceva allo Zio Panda che io l’avevo scordata. Io. Che noi non siamo sentimentali, che dopo un po’ di tempo ci dimentichiamo dei nostri fratelli, che è giusto che sia così e via discorrendo.
Che ne sa, lei?
E’ tanto intelligente, la Mamma, ma certe volte non capisce.
Fatti conto: Iris si è ammalata definitivamente quando lei e lo Zio Panda erano in vacanza a Palma di Mallorca. Quando sono tornati, Iris non c’era, il dottore l’aveva portata in ambulatorio per degli accertamenti. Odio essere portata in quel posto, e anche Iris lo odiava, ma tant’è… Il giorno dopo l’hanno riportata a casa, ma già si capiva come sarebbe andata a finire. Iris si è nascosta sotto il letto, nella sua cesta. Io non sono andata a farle compagnia, lo so che in quei momenti non vuoi d’attorno nessuno. Loro, invece, no. Quando uno sta male, tutti attorno al suo letto. Solidarietà, la chiamano. Assistenza agli infermi. Chi li capisce è bravo, l’ho sempre detto. In quei momenti, devi star da solo, dico io. Che stress, avere tutti quanti intorno. La Mamma no, la Mamma ha tirato Iris fuori da sotto il letto e l’ha posata sopra, sulle coperte; poi è stata là… fino alla fine. Anch’io sono stata là, seduta vicino a loro sulla coperta rossa, ma secondo me era più la Mamma che aveva bisogno d’appoggio che non la Iris. La mia povera sorella non aveva più bisogno di niente. E meno male che la Mamma l’ha capito e ha smesso di portarla in ambulatorio ogni due per tre, a farle fare il cortisone, le flebo, l’ossigeno, l’ecografia…
Non capiscono, secondo me, non capiscono.
Mica dico che non debbono curarci. Quello no. Vaccino trivalente, contro la FIV, contro la FELV, cure se stai male. Va bene. Ma quando sei al capolinea, basta, dico io. Voi forse gradite avere qualcuno vicino al momento della morte, noi no.
L’autopsia ha stabilito che la mia povera sorellina aveva un tumore che dalla milza si è propagato agli altri organi. E non è stato possibile accorgersene: non ha dato sintomi fino alla fine, quando Iris ha cominciato a vomitare due o tre volte al giorno.
E qui ritorno al quesito iniziale: come si faceva a capirlo?
Ti puoi mica fare una TAC alla settimana per vedere se, tante volte, hai un tumore?
Meglio morire subito senza passare dal via.
La mia povera sorellina color gridellino, con gli occhi verdi. Ghitzmo, la chiamavo io. Come il Gremlin buono, al quale, peraltro, un po’ somigliava. Solo che non aveva paura dell’acqua, anzi. Quando, a San Nicolò, la Mamma annaffiava le piante della terrazza, Iris pretendeva che gliene versasse un po’ nei buchi del naso, poi soffiava e sputava, felicissima.
Certo che era strana, mia sorella. A cena non mangiava, poi la notte alle tre cominciava a battere la ciotola sul parquet finché la Mamma non le tirava un cuscino; piccolo, bianco e rosso, che faceva parte di un set di tre, cucito apposta da sua madre per tirarlo in testa a lei senza farle male…
Certo che è strana anche la Mamma, però.
Ma di lei si sa.
Chiamava Iris con una caterva di nomi: Iris, Pici (da Pc, diminutivo che indica i computer), Pici-Micia, Piciola, O Picina, Opicina, Opi, Opy Ciolayna… Le scandiva sempre uno slogan che suonava pressappoco così:

"Opy/Ciolayna/per te finisce male…"

[Pare che negli anni Settanta, quando la Mamma andava a scuola, gli studenti in rivolta scandissero uno slogan analogo durante le loro manifestazioni, dedicato a un tal Giorgio Almirante, che all’epoca era segretario di un partito chiamato "Movimento Sociale Italiano" (oggi "Alleanza Nazionale") Lo slogan diceva: "Almirante/ maiale/ per te finisce male!"].
La "Iris Consulting" è passata a mio fratello Edoardo, l’avvocato (non so cosa voglia farne, penso che voglia conservarla); a me Iris ha lasciato la sua auto, un Duetto verde d’epoca sul quale lei andava vestita con abiti attillati, occhiali neri ed un foulard alla Isadora Duncan; i suoi libri e i diritti d’autore delle sue raccolte di poesie…
Le conoscevo già (Iris le scriveva quando studiava, a Pisa, e me le mandava per lettera, una alla settimana); non posso dire di averle capite, ma mi piacevano. Le ho imparate a memoria. Eccone una. L’ha scritta quando faceva il primo anno d’università.

Aurea
Sulle stalagmiti di conchiglie
la città volante sfavilla nel sole che tramonta.
I ponti, l'acqua lucida, gli archi,
i tetti, le insegne, i cancelli ricurvi
tutto si perde nel riflesso rosato
del corso turchino del fiume.
Sventola la bandiera libera,
infioccata,
sul pennone corre lo scintillio del sole,
le nuvole azzurre non l'oscurano.



Non ho mai capito di che città parlasse; la Mamma dice che è un luogo della mente, ma io, si sa, scarseggio d’astrazione…

lunedì 18 giugno 2007

I pensionanti magrebini (o siamesi)

Kameela e Jalal

Al fine di evitare il furore delle comunità islamiche locali e le conseguenti proteste, un punto tengo a chiarire: io, Susanna von Strohmenger, non sono razzista. Né sono una fondamentalista legata ad un culto purchessia (credo a un Grande Spirito che governa l’universo e che, se ci sintonizzassimo con lui, ci donerebbe pace e amore, ma la mia fede più in là non va). Tanto meno sono cultrice della religione come garante dell’identità nazionale e, se sento parlare delle radici cristiane dell’Europa, mi smascello dal ridere. E i Saraceni, allora? E gli Ebrei? E i Druidi? E … non divaghiamo. Tutto questo Introit vuol dimostrare che io non ce l’ho con gli islamici né con gli Arabi in generale. Anzi. Una degli Otocioni (di cui vi parlerò quando parrà a me), la percussionista suonatrice di tabla, è libanese, si chiama Maysa Noura ed ho di lei grandissima stima. Ma…! E’ chiaro che c’è un "ma". Se no, perché avrei principiato in questo modo, se non ci fosse stato il "ma"? Della serie: "Alcuni dei miei migliori amici sono…" e qui si può aggiungere gay, lesbiche, ebrei, zingari, prostitute, e via emarginando; dopo di che, di solito, si dice qualcosa di tremendo sulla categoria in questione. La Mamma in questo è specialista, specie quando parla dei fascisti.
Io non parlerò di fascisti, ma dei due pensionanti magrebini che da qualche anno si sono stabiliti da noi; provvisoriamente, credevamo io e Iris, in verità sono cinque anni che stanno qui a scassare i maroni. Dopo tutto questo tempo, ancora non abbiamo le idee molto chiare su di loro; anzi, se qualcuno avesse notizie più precise al riguardo, è pregato di comunicarcele (telefonate pure a mia sorella Iris presso la "Iris Consulting", ore ufficio).
Cominciamo dall’inizio. ("Andiamo avanti fino alla fine, poi fermiamoci", aggiunge sempre la Mamma). Sono venuti a vivere con noi cinque anni fa dopo essere rimasti orfani, poverini, e fin dall’inizio, oltre a dimostrare nei nostri confronti un’incomprensibile ostilità, hanno raccontato una tale massa di balle al cui confronto le piantagioni di cotone della Louisiana sono volgari dilettanti. Per prima cosa, fra una rissa e l’altra, ci hanno fatto credere di essere due dignitari algerini. Lei, l’anziana madre, sostiene di chiamarsi Kameela e di essere una principessa del deserto (ha visto troppi film con Rodolfo Valentino, a sentire Iris) e che suo figlio è un principe di nome Jalal. Ci avremmo anche creduto (non siamo malfidati, noi), se non fosse che la Mamma e lo Zio Panda, quando ne parlano, li definiscono "i siamesi" e li chiamano Chicca e Charlie.
Mah. Siamesi. Manco esiste più, il Siam. Ora si chiama Thailandia, m’informa Iris. Quindi dovrebbero essere thailandesi, quei due. Ma allora perché li chiamano siamesi? E soprattutto: perché loro, invece, sostengono di essere algerini?
Vattelapesca.
Secondo mistero. La Kameela (chiamiamola così, per ora) mi ha riferito che ora è in pensione, ma che prima lavorava, da quanto ho capito, alle Ferrovie dello Stato di Grosseto, anche se non so in qualità di che. Di Rompicazzo Serie Oro, presumo. Almeno, così mi pare d’aver capito, perché quando, per pura cortesia, le ho chiesto che cosa facesse nella vita, dapprima si è rivoltata come una vipera e mi ha sibilato alcune maledizioni magrebine (o siamesi?), poi, fra un insulto e l’altro, ho captato "FSSSSSS" e "GRRRR".…
Con mio fratello Edoardo, invece, va d’accordo (quindi se ne evince che non può andare d’accordo con me) e a lui ha raccontato che suo figlio Jalal o Charlie, il quale per inciso è ancora più stupido di Martino (il che, badate bene, non è cosa da poco), ha provato a fare vari lavori di bassa qualificazione, ma che non è riuscito a conservarsene uno che è uno. Ha fatto, nell’ordine:
- il disturbatore per l’Azienda Telefonica (scuoteva vorticosamente le orecchie per far credere che il telefono avesse un guasto);
- lo stronfiatore per l’Azienda dei Trasporti (stronfiava per raffreddare il motore degli autobus);
- il telefonista al Centro d’Ascolto (ci ha due orecchie che paiono parabole, ci posso anche credere);
- l’ esperto di code alla Società Autostrade (stazionava al casello e lasciava pendere fuori la coda; di lì la frase dei radiogiornali "Code in uscita dai caselli");
- il macchinista alle Ferrovie di Stato, come sua madre (si legava alla coda le vetture di prima classe e le trainava in stazione; e l’altoparlante annunciava: "Vetture di prima classe in coda!")
Tuttavia, al di là della peculiarità delle professioni esercitate dai due ineffabili personaggi, ho il sospetto che anche queste informazioni non siano del tutto esatte. Siamesi? Algerini? Ma vogliamo dire della Balduina, più che altro? La Kameela o Chicca che dir si voglia va per i venti, ed è pertanto un tantinello rincoglionita: la notte, dalla camera in cui dorme, si sente spesso: "Ahò! Ahò! Ahòòòòòò!!!". Il che, oltre a deliziare lo Zio Panda e, presumo, esilarare i vicini, mi fa sospettare che la tizia in questione non sia thailandese né tampoco algerina, ma al massimo del Tufello.
Ha financo preteso che la Mamma e lo Zio Panda le costruissero in terrazza una tenda come quella che, a suo dire, aveva nel deserto (al massimo nella friggitoria a Spinaceto, ha sibilato Iris), con una miriade di cuscini variopinti sotto (la Iris gli ci ha pisciato sopra, venendo per una volta meno alla sua abituale raffinatezza). La mia povera romantica sorella, da quando si sono stabiliti qui quei due energumeni, sta facendo una vita da cani (il che, per un gatto, è discretamente tragico): come già l’Ingegnere di sinistra memoria, anche loro, ogni volta che la vedono, le si scagliano addosso con urla mefistofeliche e la massacrano di cazzotti. Sei tu che non vai, le ho detto una volta (mentre Ibadeth le disinfettava i graffi con l’acqua ossigenata). Non è possibile che tutti, dico tutti, ti saltino addosso. Sei tu che emetti segnali di debolezza e sottomissione. Sei laureata in Informatica, hai uno studio di consulenze, una casa in Irlanda, un sacco di soldi e hai pubblicato un libro di leggende che è stato per mesi in cima alla lista dei best-sellers, ma evidentemente sei convinta di essere una merda. Ibadeth mi dava ragione. Guarda Martino, le ho detto. All’inizio lui e la Kameela non si potevano vedere (il che è comprensibile: lei è musulmana, lui è un rabbino), ma alla fine sono addivenuti ad una altezzosa tregua (anche se Edoardo mi ha riferito che una volta li ha visti dormire insieme sul divano; ma non ci credo nemmeno se li vedo). Martino si è fatto rispettare, anche se è un minus habens.
Ibadeth a questo punto ha fatto una delle sue domande sceme (Ibadeth non è scema, ma sovente se ne esce con riflessioni che lasciano sconvolti gli astanti; Filòstrato una volta le ha urlato che aveva un cervello da gallina, e lei gli ha strillato di rimando "Magari!"). Insomma, ha detto che Iris è intelligente, è laureata, è istruita, è ricca, ma non ha stima di se stessa. Martino è deficiente e guadagna anche poco, ma ci ha l’amor proprio. Com’è possibile, ha detto Ibadeth. Per avere l’autostima che bisogna fare, vincere un concorso? Pregare?
Non fare domande cretine, le ho detto. Per fortuna che non si è offesa e che, soprattutto, non ha insistito per avere una risposta.
Perché non avrei proprio saputo che dirle.

lunedì 4 giugno 2007

Una gita in Transdniestria

Una gita in Transdnjestria
Ubaldo era comunista. Ma comunista di quelli di una volta, filo-sovietico, ammiratore di Fidel Castro, trozkista-leninista. S’era letto tutto il Capitale di Marx (aveva detto che non ci aveva capito niente, ma che diceva cose molto giuste), tutta la Questione ebraica, con l’ausilio di Martino (aveva commentato che era un libro bello, ma triste) ed infine aveva appiccicato al muro, nel suo studio al cantiere "Ecomostri", il Manifesto del Partito Comunista (invano sua sorella Iris aveva tentato di spiegargli che trattavasi di un libro, non di un poster; la discussione era degenerata in pugni, schiaffi, soffi e insulti ed era dovuto intervenire lo Zio Panda con la scopa). Aveva sofferto oltre misura per il crollo del Muro di Berlino (sosteneva che era una pregevole opera d’architettura futurista) e per il tramonto del comunismo ed aveva pertanto salutato con giubilo la nascita del Regno del Vero Comunismo (il V.C., lo chiamava Edoardo) nel piccolo stato della Transdnjestria (leggi Transnistria).
Nell’estate del 2001 aveva dunque organizzato una gita di quindici giorni a Tiraspol e, dopo una settimana di accurati preparativi, era partito con la sua potente Trabant, accompagnato dal Bimbo.
A questo punto due domande sorgono spontanee:
a) dove diavolo è la Transnistria?
b) chi accidenti è il Bimbo?
Cominciamo con la Transnistria, che è più semplice.
La Transnistria è il fantasma del Vero Comunismo (qui di seguito denominato V.C.), l’ultimo miserando resto dell’Unione Sovietica. E’ una regione secessionista della Moldavia, ex-colonia sovietica, a quanto ho capito, che si estende lungo il confine con l'Ucraina (altra ex-colonia). La sua superficie dovrebbe essere di circa 3.500 km² e la popolazione 555.000, più o meno. Il nome della regione deriva dal fiume Dniestr: la Transnistria è, infatti, l'area della Moldavia posta sulla sponda orientale del fiume. Vorrebbe dire "al di là del Dniestr".
E’ una repubblica, con capitale Tiraspol, la meta delle gite dell’Ingegnere. Il Presidente è un tale Igor Smirnov, che, a quanto ho capito, è convinto che la democrazia sia una malattia del fegato. Lingue ufficiali sono il romeno, il russo e l’ucraino. Ignoro quale delle tre parlassero l’Ingegnere e il Bimbo nel loro soggiorno transnistrico.
Dopo la caduta del comunismo, nel 1990, la Transnistria dichiarò la propria indipendenza, peccato che non se la cacò nessuno… mi correggo, scusa, Iris, tale decisione fu unilaterale e non una nazione al mondo accettò di riconoscerla (anche se dice che era la Russia che le forniva armi e quant’altro). E’ una nazione piccolina, ma coraggiosa e piena d’iniziativa, diceva sempre l’Ingegnere: ha un grosso guadagno da attività illecite come porto per i contrabbandieri, traffico di combustibili, di armi, d’organi e droga (bisogna pur diversificare) e si sospetta che ancora oggi la sua economia sia aiutata da questo tipo di commercio, in particolare quello bellico.
L'industria di armi, infatti, è molto fiorente in questa regione e, a sentire i servizi segreti moldavi che ci si dannano, queste servono ad aiutare anche il terrorismo musulmano, compresa la famigerata Al Qaida.
La moneta è il rublo della Transnistria (senza alcun valore internazionalmente riconosciuto, manco a dirlo); il prefisso telefonico è quello della Moldavia Hanno anche lo stadio più bello del mondo, anche se non so proprio chi ci giochi, a parte la squadra di calcio del figlio del Presidente, la "F.C. Sheriff Tiraspol". L’Ingegnere e il Bimbo ci hanno fatto una memorabile partita di badminton.
Orbene, io direi che in una nazione siffatta siano calpestati i più elementari diritti umani e che la libertà di parola sia riguardata come pericolosa attività sovversiva l’ordine costituito; Ubaldo, che Dio lo riposi, sosteneva invece che tutti erano liberi, in Transnistria, ma che ovviamente il Governo doveva salvaguardare il V.C. ed era costretto, per agevolare il trionfo della classe operaia, ad esercitare un certo benevolo controllo sulle notizie in entrata e in uscita. Se ne rese ben conto il Bimbo, il quale decise un giorno di telefonare alla Bimba dall’albergo di Tiraspol: in primis, dovette prenotare la chiamata con una settimana d’anticipo (e al primo giro non gli rispose nessuno perché la Bimba era venuta ad una sagra con i Licaoni), in secundis, tutta la conversazione fu attentamente ascoltata da un trucibaldo gendarme transnistrico armato di Kalashnikov, stipatosi nell’angusta cabina telefonica insieme al Bimbo. Alle allegre domande della Bimba ("Com’è l’albergo? E’ bella la città?"), il Bimbo rispondeva, a denti stretti: "Non ci possiamo lamentare!". Alle curiosità sul cibo e sulle gite nei dintorni di Tiraspol, il Bimbo sibilava: "Non ci possiamo lamentare!". Alle insistenze della Bimba sulla libertà di circolazione e sulla criminalità, il Bimbo ruggiva: "Non ci possiamo lamentare!!!!!!"
Il tutto mentre l’Ingegnerone si scolava lo "Spirito Kvint" prodotto dalla distilleria omonima (pare che detta distilleria sia una delle attività tradizionali transnistriche: è talmente radicata nel territorio - esiste dal 1897 - che viene riportata anche nella banconota da cinque rubli della Transnistria); e, accompagnato da due gerarchi locali, cantava a squarciagola:

"E sem brut, ma sem simpatic, lalà,
e ciumbailalà
e ciumbailalà…"

venerdì 1 giugno 2007

L'avvocatone Sullivan

Chiariamo subito una cosa: Edoardo è mio fratello, gli voglio bene e tutto quanto, ma mi sta proprio sul culo. E qui alte strida di Martino e sibili di Iris. Il primo tuona che non è bene esprimere sentimenti così poco caritatevoli nei confronti di un fratello, la seconda insiste per un po’ di tratto. Glielo do io, il tratto. Ma andiamo per ordine, diceva sempre Messalina quando rievocava le orge con suo marito, l’imperatore Claudio.
Cose che ho contro Edoardo (anche se gli voglio bene, in fondo):
- È un avvocato (e già questo basterebbe).
- È coinvolto in quasi tutti gli intrallazzi, i delitti irrisolti e i misteri politici italiani dagli anni Settanta ad oggi (Iris mi fa notare che negli Anni Settanta Edoardo non era neanche nato, ma io ribatto che ciò non costituisce un ostacolo, per lui. Minuzie! Dettagli! Quisquilie e pinzillacchere!) La strage di Piazza Fontana? Certamente coinvolto. La bomba sul treno "Italicus"? Qualcosa ne sa. L’eccidio della stazione di Bologna dell’agosto del 1980? Se non è il mandante, poco ci manca. Trattasi o no di terrorismo NERO? E allora? Edoardo E’ NERO! Quindi… La banda della Magliana? Andava a catechismo con Renatino. Junio Valerio Borghese? Era il suo istruttore di palla tamburello. Tangentopoli? Se vi studiate gli atti dei processi, citato in margine con i ruoli più disparati c’è sempre lui, l’avvocatone Sullivan. La Mano Nera. La Longa Manus! (In effetti, ha certe mani che paiono pale da forno). Vedete? Tutto torna! Martino sostiene che forse io lo demonizzo un tantinello. A me, francamente, non pare. Le mie asserzioni sono fondate su solide prove e suffragate da valide testimonianze… o no?
Fa sempre scherzi del cavolo a tutti. Ma dico io, si è mai visto un gatto che fa gli scherzi? Ma a che serve, nell’ottica dell’evoluzione? A chi giova, in una prospettiva darwiniana? Un gatto che ride! Se ridevi ai tempi del Paleolitico te lo davano loro. E, oltre tutto, ride di me! Il che peggiora la situazione. E' sua convinzione che io non possegga senso dell'umorismo e la cosa, invece di frenarlo, lo spinge vieppiù a farmi girare gli zibidei. Del tipo darmi pacche sul sedere quando passo. Andare a dormire con la Mamma sotto le coperte. Saltarle in braccio quando guarda la televisione (la Mamma guarda "Chi l’ha visto?" e me lo figuro, l’avvocatone Sullivan, che ascolta resoconti di misteriose sparizioni e ride, ride, perché lui i retroscena li sa…).
Comunque, c’è da scusarlo, povero Edoardo. Qualche attenuante ce l’ha. Fu trovato abbandonato in un bosco, la Mamma si arrampicò su un cancello, entrò nella boscaglia (che era di proprietà privata, entre otros) e se lo portò a casa. Un anno dopo, Edoardo smise di mangiare, si ammalò e gli fu diagnosticata una malattia chiamata "hemobartonella". Le medicine somministrategli, tuttavia, non sortivano alcun effetto e, dopo ulteriori indagini, la dottoressa scoprì che aveva un tumore al fegato. E vai! Prognosi infausta. Non avrebbe superato l’operazione, ma la dottoressa ci avrebbe provato ugualmente. La Mamma, in lacrime, diede il consenso. Edoardo fu operato, non morì, ma stava sempre peggio. Unica speranza: flebo di fisiologica due volte al giorno (la medicina si chiamava "Ringer Lattato") e nutrizione forzata con cibo altamente digeribile (il CD. Che vorrà dire, Cibo Digeribile? Cena Disgustosa? mah). Dopo mesi di questa solfa (io non avevo neanche cuore di litigare con lui, poveretto, era giallo come un limone), si era gonfiato che sembrava lo Zeppelin. Si consigliò alla Mamma di fargli un’iniezione di diuretico (il "Diuren"), che fece effetto, altro che! Dopo aver pisciato per un quarto d’ora (io già temevo un altro Vajont), ricominciò a mangiare da solo, migliorò di giorno in giorno… e allora io ricominciai a fracassarlo di botte, quel che è giusto è giusto, no?
Edoardo è una malefica bestiaccia. Possiede una vecchia Mercedes nera che fa guidare all’autista, ha una fidanzata di nome Angiolina, che ha circa ottant’anni (contento lui) e vive in Toscana. Ha sempre fame (lui, non l’Angiolina) perché la Mamma lo tiene a stecchetto: con la sua patologia deve mangiare poco, leggero e spesso. Egli però sostiene che non gli danno nulla, che lo affamano e che è vittima di una congiura intesa a farlo morire lentamente d’inedia (Starvation! Starvation! Starvation is free! Altro che Cranberries). Ha una grande amica, la Contessa, padrona della villa in cui la Mamma lo ha trovato, e che ogni tanto gli telefona e, con voce flautata, lo apostrofa: "Come stai, mio cavo Edoavdo?".
Ovviamente, professa idee politiche d’estrema destra. Edoardo, non la Contessa. Oddìo, forse anche la Contessa.
Peccato, però, che sia affetto da Disturbo Dissociativo dell’Identità.
Come forse (non) saprete, il Disturbo Dissociativo dell’Identità (che una volta si chiamava "Disturbo di Personalità Multipla") è definito dal D.S.M. IV in tal modo:
"Disturbo caratterizzato dalla presenza di due o più distinte identità o stati di personalità, che in modo ricorrente assumono il controllo del comportamento del soggetto, accompagnato da incapacità di ricordare importanti notizie personali troppo estesa per essere spiegata come normale tendenza a dimenticare".
Non di rado, dunque, Edoardo si trasforma in altri due personaggi: Miciox X, il difensore dei diritti dei Neri (ovviamente d’estrema sinistra), e Er Sogliola, manovale della borgata romana della Balduina (qui, almeno, non fa tanta fatica a tenersi le sue idee fascistoidi).

lunedì 28 maggio 2007

Ibadeth

Ibadeth
L’esigenza di cantare l’ho avvertita sin dalla più verde età: fin da quando, tenerissima gattina rosso-nera di nemmeno tre settimane, fui esposta, in una fredda mattinata novembrina, in una cesta bordata di fiocchi scarlatti, che troneggiava sopra un tavolo centrale della "Pizzeria ternana" di Marsciano, e in quel momento entrò la Mamma, infreddolita, affamata, avvolta in un giaccone rosa fucsia e reclamante una porzione di pesce fritto. Mentre appallottolava la carta oleata e si guardava intorno alla ricerca di un cestino (la Mamma è disordinatissima in casa, ma fuori è di una compitezza preoccupante), il suo sguardo cadde sulla cesta e mi adocchiò. Debbo dire il vero: ora ho una grande passione per la Mamma, ma in quel momento tutto volevo meno che esser tirata fuori di lì, per cui quando compresi che aveva deciso di portarmi via dalla cesta e dai miei fratelli, iniziai a produrmi in canti di protesta appresi dai Disoccupati Organizzati di Napoli (nella fattispecie quello che suona
"Me vuo’ caccià de casa,/ l’anema ‘e chi t’ha muorto…").
Niente. Con sovrano sprezzo dei miei diritti costituzionali, fui stipata in una scatola che aveva contenuto lattine di Coca-Cola (COCA-COLA!!!!), caricata su di una sfranta Renault 4 e traslata in un borgo vicino, dove la Mamma, che ancora non conviveva con lo Zio Panda, aveva trovato provvisorio ricetto (ci visse per quattro anni). Per tutto il viaggio cantai a squarciagola inni della resistenza albanese appresi da Ibadeth, ma la Mamma non parve, lì per lì, apprezzare la mia cultura nel campo del folk internazionale.
Come vedete, pertanto, ho sempre avuto inclinazione per il bel canto. L’idea di fondare un gruppo mi è venuta però mentre stavo fumando uno spinello con Ibadeth nell’orto della Mamma. La mia verde amica, quando aveva visto la Mamma che mi caricava sull’inqualificabile vetturetta francese, era corsa fuori dalla "Pizzeria Ternana" e si era appesa al paraurti posteriore del veicolo; indi era salita per la grondaia fino al primo piano della palazzina dove la Mamma abitava e si era allogata nella terrazza, in mezzo a un cespuglio di ruta graveolens (ignoro che uso pensasse di farne la Mamma, penso che fosse solo un’espressione del suo periodo da erborista).
L’idea cominciò ad assumere contorni definiti (e vi assicuro che non è facile, in mezzo al fumo del Libano Oro), Ibadeth si fece stampare un centinaio di volantini da un suo cugino che frequentava una scuola del borgo ed andò ad affiggerli nelle bacheche dei pub della Media Valle del Tevere; in primis alla "Pizzeria Ternana", of course. La pizzeria, per coloro che vaghezza pungesse di andarci a desinare, esiste ancora, sebbene abbia cambiato gestione: ma ci si mangia bene ugualmente! Chiusa la parentesi pubblicitaria.
Dapprima risposero al nostro appello quelli che poi sarebbero diventati "Gli Otocioni", e che vi presenterò in un secondo momento (o terzo? o financo quarto? Ancora non vi ho nemmeno parlato dei pensionanti magrebini! E neppure della storia d’amore fra Ibadeth, ramarra di Elbasan, e Tarquinius Lalibela, suricate della Terra di Gondwana… Né del Bimbo e della Bimba, effimeri personaggi inspiegabilmente cari alla Mamma e allo Zio Panda…).
Una alla volta, come diceva Rocco Siffredi.

domenica 27 maggio 2007

Prostituzione?

Prostituzione?
No, massa di lettori borghesi (volevo apostrofarvi con la dicitura "lettorazzi del cazzissimo", come fece una volta il povero Andrea Pazienza, Dio lo riposi, ma Iris qui mormora che sarebbe poco elegante; già non approva che vi qualifichi borghesi, ma non sa come opporsi alla cosa); no, non crediate che il diario cominci a lambire il pornografico. E’ soltanto l’accusa che io e Aristogìtone ci siamo sentiti fare allorquando, visto che con il gruppo rock non avevamo nemmeno i soldi per far cantare un cieco (e qui Filostrato si è imbufalito), abbiamo deciso di ripiegare sul liscio, con sconfinamenti nel nazional-popolare (della serie: "Marilena", "Romagna mia", "E’ la mia gente", "Lo spazzacamino" e via scadendo). Iris qui sussurra che faccio eccessivo uso di parentesi. Embè? Problemi?
Con il liscio, dicevo, riusciamo a racimolare qualcosa; col gruppo rock stiamo ancora alla fase suono-nello-scantinato-bevo-e-mi-faccio-le-canne (veramente quelle ce le facciamo a prescindere, anche con la band del liscio, ma tiremm’innanz). Con "I Licaoni" facciamo le sagre, le feste paesane, i matrimoni, Halloween, il Capodanno alla Sgurgola e cose simili; col gruppo rock, che si fregia del nome "Gli Otocioni", al massimo ci facciamo i "rave party" in qualche capannone dismesso della Bovisa… Da lì l’accusa di prostituzione: svendita del nostro talento (?) nel bieco circuito delle coppie reumatiche sessantenni, della piadina col prosciutto e dei tortelli alla maremmana.
Può anche darsi, non dico di no. Ma chi si avvantaggerà della nostra musica, delle nostre idee e della nostra abilità se non ci sente nessuno?
Anni fa, con gli Otocioni eravamo andati ad Amsterdam, oltre che per racimolare fumo a buon mercato, convinti che lì avremmo potuto sfondare, farci conoscere, entrare nel circuito dei gruppi rock alternativi; sì, col cavolo, ci siamo sparpagliati per tutta la città a cercare lavori d’infimo livello per poterci pagare la fetida pensione, il puzzolentissimo cacio locale, la birra e il fumo. Una dieta, direi, consigliata da tutte le riviste di medicina. Sia come sia, io avevo trovato lavoro come ballerina in un ristorante indiano: vestita da danzatrice del ventre con paillettes e lustrini, dovevo dimenarmi ed agitare il culo (e il mio è sontuoso) al ritmo di nenie e percussioni orientaleggianti, condite da musica etnica generica, tanto sanno una sega gli olandesi se era musica indiana, pakistana o africana, se le ballerine erano arabe, messicane, turche… o ternane, come nel caso mio. Bon, una sera, dopo aver mangiato una pentola intera di biryiani di pollo e peperoni ripieni al curry, stavo esibendomi indecorosamente fra i tavoli del ristorante "Taj Mahal" (originali!), quando la Suba, la cameriera più incapace del locale, spalanca repentinamente la porta del congelatore e ne esce una zaffata gelida che mi arriva diretta sulla pancia. Detto fatto, mi si blocca la digestione, si annunciano crampi lancinanti e non solo quelli, in preda ai dolori esco ancheggiando voluttuosamente dalla sala da pranzo e mi precipito al bagno… appena in tempo. Seduta sul trono, in mezzo agli spazzoloni, alle scatole piene di detersivi e alle balle di carta igienica incellofanate, con il deodorante di falso pino da quattro soldi e l’odore di pesce fritto che entrava dalla griglia sul muro, con lo stanzino vicino da cui qualcuno cantava a squarciagola "Si a tu ventana llega una palooooomaaaaa/ tratala con carino que es mi persooooonaaaaaa!….", ebbene, come dice spesso la Mamma, ho avuto un’illuminazione interiore.
"Che cavolo ci faccio, qua?"
Veramente non è che abbia proprio detto "cavolo", ma la Iris qui insiste per mantenere lo stile.

sabato 26 maggio 2007

L'Ingegnere assassino e i Licaoni del Liscio

Questa è mia sorella Iris, dicevo; color gridellino, occhi verdi, laureata in Informatica, più scema dell’acqua degli gnocchi (espressione che la Mamma usa spesso, infatti gli gnocchi non li fa mai; e poi, per noi, sarebbero esiziali). Ha degli hobby, mia sorella Iris, quando non fa consulenze per il suo studio: suona l’arpa celtica e talvolta compone canzoni. A proposito: avete dei problemi con i vostri computer? (Volevo scrivere "computers", ma Iris qui mi sussurra che è da provinciali). Scrivetemi e passerò alla dolce Iris i vostri quesiti: Io, di computer (s), non ci capisco alcunché. A me, potete chiedere pareri circa la psicologia clinica, se del caso. O sul cibo per gatti…anche se sono, ahimé, abbonata allo spezzatino.
Iris, dicevo. La sua vita in bilico tra ansia e vana ricerca di totale tranquillità ha subito più d’un brutto colpo: prima i contrasti con suo fratello (Dio l’abbia in gloria… o il demonio, è più probabile), poi con il pensionante magrebino... di cui parlerò in un secondo momento (non troppo lontano dal primo).
Flashback: l’ingegnere assassino
Suo fratello si chiamava Ubaldo ed era ingegnere civile… oddìo, a me pareva discretamente incivile, per la verità, diciamo edile, che va meglio. Aveva una fallimentare impresa edile che costruiva ecomostri (e lo scriveva anche nelle inserzioni pubblicitarie. Ecomostri con finiture pregiate in eleganti zone archeologiche di qualità…. Ci credo che era sempre in bolletta e nostro fratello Edoardo, l’avvocato, doveva regolarmente ripescarlo dalle patrie galere; anche perché i palazzi li cominciava sempre dal tetto, tanto per farvi capire il tipo).
Ubaldo era sempre stato affettuoso, ancorché nevrotico, ma non aveva mai mostrato eccessiva aggressività fino a quando, nel dicembre del 1997, durante le vacanze di Natale, tanto per solennizzare la nascita di Nostro Signore iniziò ad attaccare la Mamma in maniera violenta, lanciando urla orribili e graffiandola. Forse non aveva trovato i regali di suo gradimento, non so. La Mamma provò varie cure: un prodotto omeopatico a base di belladonna, i Fiori di Bach (anche se lei è una razionalista e le considera tutte scemenze: pensate a che livello di disperazione), un blando tranquillante… Gli fece fare anche un check-up, nella speranza che il suo comportamento da pazzo fosse causato da una malattia organica e quindi potesse essere curato; ma gli esami evidenziarono che era fisicamente sanissimo. Glielo dicevo io gratis, che era fuori come una caldaia; ma tant’è, a me non crede mai…
La dottoressa di famiglia consigliò alla Mamma di lasciarlo qualche settimana a casa di sua madre, a Perugia (sua madre vive sola e sembra un generale prussiano) e poi di riportarlo nell’ambiente familiare, e così fu fatto, ma si rivelò inutile: dieci minuti dopo essere rientrato in casa, si scatenava di nuovo nel tentativo di matricidio. Fu pertanto ricondotto a Perugia, e lì rimase; fino alla dipartita, avvenuta cinque anni fa per infarto.
La dottoressa ipotizzò che Ubaldo fosse un rarissimo esemplare di maschio dominante – raro perché, com’è noto, noi gatti siamo bestie solitarie; mica facciamo branchi, come i cani – e che la Mamma, con la sua arrendevolezza nei suoi confronti, l’avesse viziato, mandandogli messaggi da membro sottomesso del branco e scatenando in lui impulsi di dominio. Infatti sua madre (sua della Mamma, non di Ubaldo), che è una persona molto meno arrendevole, non ebbe mai alcun problema con lui; benché un’estate, essendo la Mamma e lo Zio Panda andati in vacanza in Spagna ed avendoci lasciato a casa sua (che le venisse il bene), abbia passato un brutto momento perché Ubaldo si era scatenato di nuovo, aggredendo la mite Iris. Una cosa era chiara: all’età di tre anni, Ubaldo aveva deciso che non sopportava altri gatti all’infuori di lui.
Ora, il povero Ubaldo è morto, e Martino insiste che non si deve parlar male di lui. Ha detto "De mortuis nisi bonum" e quando io ho strabuzzato gli occhi e l’ho pregato di non parlare ebraico in mia presenza (mica perché io sia antisemita, per carità, è che l’ebraico mi è un po’ ostico), mi ha guardato con un certo disprezzo e mi ha detto che era latino (mah). Comunque, la buonanima è diventato un personaggio del teatrino della Mamma e dello Zio Panda: lo chiamano L’Ingegnerone (e ogni tanto canticchiano un motivetto stile rap che fa "Ingegnerone, bell’animalone…"… è evidente che ogni tanto gli s’inceppa la manopola che regola il senso del ridicolo) e imitano le urla che faceva quando attaccava qualcuno, pensando forse che tutti gli ingegneri facciano così.
Chi li capisce è bravo, dico io.
I Licaoni del Liscio
L’estate in cui la Mamma e lo Zio Panda erano andati in Spagna, che Iddio distrugga la loro casa, io non sono mica rimasta sempre lì a farmi crescere l’erba sotto le scarpe (che manco ho): ho preso il break e sono andata in giro a procurarmi scritture.
Ora, è d’uopo spiegare che cinema e letteratura sono pieni di gente che ha un sogno e che, nel vano tentativo di realizzarlo, se va bene va a fare qualcosa che con l’agognata mèta c’entra solo di sguincio – quando non si trova a fare lo svuotacestini al McDonald’s o il lavavetri ad un incrocio della Tuscolana. Avevo un amico inglese (abita a Dover) che voleva fare il pilota d’aerei per la British Airways e che è riuscito al massimo a fare le pulizie sulle navi di linea da e per la Francia (ci plana sopra e si tuffa in picchiata nei cestini dell’immondizia: dice che la gente butta via di tutto, panini interi al bacon, pacchetti di Cadbury, CD dei Kings of Convenience…). Io, temo, non faccio eccezione. Sono una musicista rock, ma sono in pochi a saperlo e ad apprezzare la mia musica; così mi sono organizzata un gruppo folkloristico di liscio, che suona musica popolare a richiesta nei locali del Centro Italia (il locale che più ci scrittura è "La Sgurgola Marsicana"). La band si fregia dell’esotico nome "I Licaoni del Liscio" ed è composta, nell’ordine, da:
Me (naturlich), Susanna von Strohmenger (di cui abbiamo una diapositiva): sono la vocalist e suono anche la chitarra (la Fender Stratocaster).
Aristogìtone Ngouma (il licaone eponimo): è africano, viene dal Congo francese (che adesso vattelapesca come si chiama: quei paesi lì cambiano nome e regime ogni due per tre) alle percussioni. Una volta, per difendere la soave Iris da un pestaggio fraterno, ha suonato per mezz’ora "Light my fire" sulla testa dell’Ingegnere di sinistra memoria. E’ laureato in legge, ma dubito abbia mai esrcitato in vita sua.
Ibadeth Hysa, una verde e fascinosa creatura, un ramarro, a occhio e croce, che suona il violino ed è specializzata in musiche balcaniche. Per merito mio o mia colpa, a seconda, (poi vi spiegherò) è la felice sposa di:
Tarquinius Lalibela, che sostiene di venire dalla Terra di Gondwana ed è un suricate. Suona la fisarmonica e, nel tempo libero, scolpisce bassorilievi il legno d’acero con scene tratte dai miti della creazione (che volete, ognuno ha le sue fissazioni).
Filòstrato Sousa da Silva, il nostro flautista (quasi) cieco, a cui ho salvato la vita io (poi vi dirò). E’ portoghese, viene da Madera e, ovviamente, canta fados. Manco a dirlo. E’ lo stereotipo fattosi pipistrello.

giovedì 24 maggio 2007

Mia madre si chiama Pandina...

Pandina
Mia madre si chiama Pandina... o almeno credo perché è così che la chiama lo zio. "Pandina!" si sente per casa "Pandina bella! Pandina carina!" e talvolta "Pandina patatina", qualsiasi cosa ciò voglia dire. Non credo che però questo sia il suo nome autentico. Io, il mio nome autentico lo tengo ben nascosto e non lo dico a nessuno; lei no, e qualcuno evidentemente lo conosce perché una volta, sbirciando nella sua borsa ho visto che si chiama Margherita B... il resto non sono riuscita a leggerlo, c'era scritto qualcosa, ma né io né i miei fratelli ci vediamo tanto bene. Del resto, per noi è solo "La Mamma" e lo zio è lo "Zio Panda" (anche lui non si chiama mica così, ma di preciso non lo so come si chiami: la Mamma lo chiama Pandino, i vicini di casa lo chiamano Ingegnere, anche se secondo me non è un gran complimento: avevo un fratello ingegnere, Dio l'abbia in gloria, ed era una bestia).
Comunque, sono stravaganti. L'altro giorno, a lezione di sociologia, parlavano della relatività della cultura e della diversità, cosa che io capivo (benché da più parti mi abbiano tacciato di scarsità di astrazione); ma mi riesce più facile capire i Boscimani o gli abitanti delle Trobriand piuttosto che la Mamma o lo Zio Panda. Almeno certe volte. "State unendo le dita? State ruotando le falangi? State stringendo amicizia con gente che ha il colore della pelle diverso dal vostro?..." Quei due, chi li capisce è bravo. Prendi la Mamma, per esempio. (Lo Zio Panda si alza la mattina, ci prepara la colazione e non si rivede fino all'ora del tè, che di solito si guarda bene dal prepararci, benché io lo gradirei e gliel'abbia anche detto. Ma figurati.). Ci butta giù dal letto, butta per terra le coperte, le rimette sul letto e poi permette che ci corichiamo di nuovo. Che logica c'è, le ho detto una volta. Perdi quindici minuti di vita per fare quest'inane operazione, e li fai perdere a noi, il che peggiora le cose. Ma lei sì, dà retta a noi. Ogni tanto si chiude nello stanzino e ne emerge dopo quaranta minuti, se va bene. Se le busso, m'ignora signorilmente o lancia qualcosa sulla porta e mia sorella Iris, che ha uno studio d'informatica e frequenta parecchi di loro, dice che quello è il bagno, In che senso, ho detto io. Ci fa i suoi bisogni, ha detto Iris. E c'è bisogno di chiudersi dentro. Mah.
Poi, ha sempre una divisa diversa. E' frivola, forse; ma è la Mamma e io ho in lei una grande fiducia, anche se non la capisco. Perché perdere tempo la mattina a mettersi una pelliccia diversa ogni due per tre, dico io. Gliel'ho anche detto - le parlo più che altro la sera, quando mi sdraio sulla sua pancia in raro momento d'introspezione - ma devo averla offesa perché m'ha scaraventato giù dal letto e chi s'è visto s'è visto. Io, per parte mia, ho sempre la stessa. La divisa, intendo. E' rossa, nera e bianca e mi hanno detto che è fantasmagorica, mica come quella moscia di mia sorella Iris con la sua divisa grigia ("Gridellino", dice la Mamma, e io e mio fratello Martino abbiamo perso un pomeriggio a guardare nel vocabolario perché quello scemo di Martino se l'è tirato in testa e ho dovuto mettergli una compressa fredda. Dopo era, se possibile, diventato ancora più scemo. Insomma, "gridellino" indicherebbe un colore tra grigio e rosa) o quei due noiosi dei miei fratelli, il succitato Martino ed Edoardo, neri come una coppia di beccamorti; va be' che Edoardo fa l'avvocato e per lui avere un look sobrio è fondamentale. Anche se, con tutti gli intrallazzi che fa, si potrebbe anche mettere un gonnellino di rafia all'equatoriale, ma è meglio non dirlo, questo, se no Martino mi rimprovera. Dice che parlar male è peccato.
Martino è ebreo. Fa il rabbino alla Sinagoga, ma non si dà troppe arie; anche perché, come già ricordato, è scemo. Ha una grande passione per lo Zio Panda e pretenderebbe da lui continue attenzioni. Un po' come faccio io con la Mamma, ma io solo la sera. Martino invece pretenderebbe che lo Zio Panda non andasse a lavorare per grattare la pancia a lui e questo, da un ministro del culto, mi pare poco serio.
L’unica seria è mia sorella Iris. Dopo, vi parlerò dei due nuovi pensionanti che si sono installati a casa nostra, che Dio li strafulmini (se mi sente Martino).
Mia sorella Iris, dicevo. Il genio della famiglia, dicono: si è laureata a Pisa in Informatica (per mantenersi, lavorava in un mobilificio di Pontedera, mostrava i mobili alla domenica ai clienti allibiti, illustrandone fattura, fregi e, soprattutto, solidità: ci saliva sopra), ha beccato il massimo dei voti, ora ha, come già ho detto, uno studio e fa consulenze. Fa un sacco di soldi, ma secondo me, è scema. (Non quanto Martino, naturlich: quello è proprio un mentecatto). Mi spiego meglio: è scema dal punto di vista sociale, e poi è stravagante, ancora più della Mamma e dello Zio Panda. Il che, badate bene, non è cosa da poco, alla faccia della relatività della cultura. Intanto, è troppo buona; ma proprio cogliombera, si farebbe picchiare da chiunque ambisse a far di lei bersaglio di pestaggi e/o lancio d’oggetti. Nostro fratello Ubaldo, Dio lo riposi, l’ingegnere cui accennavo poc’anzi, la gonfiava regolarmente di botte e lei reagiva mettendosi a tremare come una foglia. Ma reagisci, gonfialo, massacralo, le dicevo io; ma sì. Mi guardava allibita e tremante, l’occhio perso nel nulla (Forse pensava al cervello di Martino). La sera, a cena, la Mamma le serve il piatto con lo spezzatino (ci fa solo quello, la Mamma: ci ha una fantasia…) e lei non lo mangia, mentre noi ce lo spazzoliamo (LORO, non io; gliel’ho detto, alla Mamma, l’altra sera, fammi qualcos’altro per cena, mica per niente, lo spezzatino è ottimo, ma sono otto anni che ci servi solo quello, ma devo averla offesa perché m’ha scaraventato giù dal letto e ha spento la luce. Allora io sono andata a vedere quel che leggeva e ho visto che si trattava della Cucina Creativa Indiana. Bene, ho detto, vedi, la Mamma sta pensando di cucinarci indiano la sera, ecco perché s’è offesa, ci aveva già pensato da sé a cambiarci dieta… Credevo io: la sera dopo, spezzatino di nuovo.
Ahi, culinaria, di dolore ostello)