Questa è mia sorella Iris, dicevo; color gridellino, occhi verdi, laureata in Informatica, più scema dell’acqua degli gnocchi (espressione che la Mamma usa spesso, infatti gli gnocchi non li fa mai; e poi, per noi, sarebbero esiziali). Ha degli hobby, mia sorella Iris, quando non fa consulenze per il suo studio: suona l’arpa celtica e talvolta compone canzoni. A proposito: avete dei problemi con i vostri computer? (Volevo scrivere "computers", ma Iris qui mi sussurra che è da provinciali). Scrivetemi e passerò alla dolce Iris i vostri quesiti: Io, di computer (s), non ci capisco alcunché. A me, potete chiedere pareri circa la psicologia clinica, se del caso. O sul cibo per gatti…anche se sono, ahimé, abbonata allo spezzatino.
Iris, dicevo. La sua vita in bilico tra ansia e vana ricerca di totale tranquillità ha subito più d’un brutto colpo: prima i contrasti con suo fratello (Dio l’abbia in gloria… o il demonio, è più probabile), poi con il pensionante magrebino... di cui parlerò in un secondo momento (non troppo lontano dal primo).
Flashback: l’ingegnere assassino
Suo fratello si chiamava Ubaldo ed era ingegnere civile… oddìo, a me pareva discretamente incivile, per la verità, diciamo edile, che va meglio. Aveva una fallimentare impresa edile che costruiva ecomostri (e lo scriveva anche nelle inserzioni pubblicitarie. Ecomostri con finiture pregiate in eleganti zone archeologiche di qualità…. Ci credo che era sempre in bolletta e nostro fratello Edoardo, l’avvocato, doveva regolarmente ripescarlo dalle patrie galere; anche perché i palazzi li cominciava sempre dal tetto, tanto per farvi capire il tipo).
Ubaldo era sempre stato affettuoso, ancorché nevrotico, ma non aveva mai mostrato eccessiva aggressività fino a quando, nel dicembre del 1997, durante le vacanze di Natale, tanto per solennizzare la nascita di Nostro Signore iniziò ad attaccare la Mamma in maniera violenta, lanciando urla orribili e graffiandola. Forse non aveva trovato i regali di suo gradimento, non so. La Mamma provò varie cure: un prodotto omeopatico a base di belladonna, i Fiori di Bach (anche se lei è una razionalista e le considera tutte scemenze: pensate a che livello di disperazione), un blando tranquillante… Gli fece fare anche un check-up, nella speranza che il suo comportamento da pazzo fosse causato da una malattia organica e quindi potesse essere curato; ma gli esami evidenziarono che era fisicamente sanissimo. Glielo dicevo io gratis, che era fuori come una caldaia; ma tant’è, a me non crede mai…
La dottoressa di famiglia consigliò alla Mamma di lasciarlo qualche settimana a casa di sua madre, a Perugia (sua madre vive sola e sembra un generale prussiano) e poi di riportarlo nell’ambiente familiare, e così fu fatto, ma si rivelò inutile: dieci minuti dopo essere rientrato in casa, si scatenava di nuovo nel tentativo di matricidio. Fu pertanto ricondotto a Perugia, e lì rimase; fino alla dipartita, avvenuta cinque anni fa per infarto.
La dottoressa ipotizzò che Ubaldo fosse un rarissimo esemplare di maschio dominante – raro perché, com’è noto, noi gatti siamo bestie solitarie; mica facciamo branchi, come i cani – e che la Mamma, con la sua arrendevolezza nei suoi confronti, l’avesse viziato, mandandogli messaggi da membro sottomesso del branco e scatenando in lui impulsi di dominio. Infatti sua madre (sua della Mamma, non di Ubaldo), che è una persona molto meno arrendevole, non ebbe mai alcun problema con lui; benché un’estate, essendo la Mamma e lo Zio Panda andati in vacanza in Spagna ed avendoci lasciato a casa sua (che le venisse il bene), abbia passato un brutto momento perché Ubaldo si era scatenato di nuovo, aggredendo la mite Iris. Una cosa era chiara: all’età di tre anni, Ubaldo aveva deciso che non sopportava altri gatti all’infuori di lui.
Ora, il povero Ubaldo è morto, e Martino insiste che non si deve parlar male di lui. Ha detto "De mortuis nisi bonum" e quando io ho strabuzzato gli occhi e l’ho pregato di non parlare ebraico in mia presenza (mica perché io sia antisemita, per carità, è che l’ebraico mi è un po’ ostico), mi ha guardato con un certo disprezzo e mi ha detto che era latino (mah). Comunque, la buonanima è diventato un personaggio del teatrino della Mamma e dello Zio Panda: lo chiamano L’Ingegnerone (e ogni tanto canticchiano un motivetto stile rap che fa "Ingegnerone, bell’animalone…"… è evidente che ogni tanto gli s’inceppa la manopola che regola il senso del ridicolo) e imitano le urla che faceva quando attaccava qualcuno, pensando forse che tutti gli ingegneri facciano così.
Chi li capisce è bravo, dico io.
I Licaoni del Liscio
L’estate in cui la Mamma e lo Zio Panda erano andati in Spagna, che Iddio distrugga la loro casa, io non sono mica rimasta sempre lì a farmi crescere l’erba sotto le scarpe (che manco ho): ho preso il break e sono andata in giro a procurarmi scritture.
Ora, è d’uopo spiegare che cinema e letteratura sono pieni di gente che ha un sogno e che, nel vano tentativo di realizzarlo, se va bene va a fare qualcosa che con l’agognata mèta c’entra solo di sguincio – quando non si trova a fare lo svuotacestini al McDonald’s o il lavavetri ad un incrocio della Tuscolana. Avevo un amico inglese (abita a Dover) che voleva fare il pilota d’aerei per la British Airways e che è riuscito al massimo a fare le pulizie sulle navi di linea da e per la Francia (ci plana sopra e si tuffa in picchiata nei cestini dell’immondizia: dice che la gente butta via di tutto, panini interi al bacon, pacchetti di Cadbury, CD dei Kings of Convenience…). Io, temo, non faccio eccezione. Sono una musicista rock, ma sono in pochi a saperlo e ad apprezzare la mia musica; così mi sono organizzata un gruppo folkloristico di liscio, che suona musica popolare a richiesta nei locali del Centro Italia (il locale che più ci scrittura è "La Sgurgola Marsicana"). La band si fregia dell’esotico nome "I Licaoni del Liscio" ed è composta, nell’ordine, da:
Me (naturlich), Susanna von Strohmenger (di cui abbiamo una diapositiva): sono la vocalist e suono anche la chitarra (la Fender Stratocaster).
Aristogìtone Ngouma (il licaone eponimo): è africano, viene dal Congo francese (che adesso vattelapesca come si chiama: quei paesi lì cambiano nome e regime ogni due per tre) alle percussioni. Una volta, per difendere la soave Iris da un pestaggio fraterno, ha suonato per mezz’ora "Light my fire" sulla testa dell’Ingegnere di sinistra memoria. E’ laureato in legge, ma dubito abbia mai esrcitato in vita sua.
Ibadeth Hysa, una verde e fascinosa creatura, un ramarro, a occhio e croce, che suona il violino ed è specializzata in musiche balcaniche. Per merito mio o mia colpa, a seconda, (poi vi spiegherò) è la felice sposa di:
Tarquinius Lalibela, che sostiene di venire dalla Terra di Gondwana ed è un suricate. Suona la fisarmonica e, nel tempo libero, scolpisce bassorilievi il legno d’acero con scene tratte dai miti della creazione (che volete, ognuno ha le sue fissazioni).
Filòstrato Sousa da Silva, il nostro flautista (quasi) cieco, a cui ho salvato la vita io (poi vi dirò). E’ portoghese, viene da Madera e, ovviamente, canta fados. Manco a dirlo. E’ lo stereotipo fattosi pipistrello.
Iris, dicevo. La sua vita in bilico tra ansia e vana ricerca di totale tranquillità ha subito più d’un brutto colpo: prima i contrasti con suo fratello (Dio l’abbia in gloria… o il demonio, è più probabile), poi con il pensionante magrebino... di cui parlerò in un secondo momento (non troppo lontano dal primo).
Flashback: l’ingegnere assassino
Suo fratello si chiamava Ubaldo ed era ingegnere civile… oddìo, a me pareva discretamente incivile, per la verità, diciamo edile, che va meglio. Aveva una fallimentare impresa edile che costruiva ecomostri (e lo scriveva anche nelle inserzioni pubblicitarie. Ecomostri con finiture pregiate in eleganti zone archeologiche di qualità…. Ci credo che era sempre in bolletta e nostro fratello Edoardo, l’avvocato, doveva regolarmente ripescarlo dalle patrie galere; anche perché i palazzi li cominciava sempre dal tetto, tanto per farvi capire il tipo).
Ubaldo era sempre stato affettuoso, ancorché nevrotico, ma non aveva mai mostrato eccessiva aggressività fino a quando, nel dicembre del 1997, durante le vacanze di Natale, tanto per solennizzare la nascita di Nostro Signore iniziò ad attaccare la Mamma in maniera violenta, lanciando urla orribili e graffiandola. Forse non aveva trovato i regali di suo gradimento, non so. La Mamma provò varie cure: un prodotto omeopatico a base di belladonna, i Fiori di Bach (anche se lei è una razionalista e le considera tutte scemenze: pensate a che livello di disperazione), un blando tranquillante… Gli fece fare anche un check-up, nella speranza che il suo comportamento da pazzo fosse causato da una malattia organica e quindi potesse essere curato; ma gli esami evidenziarono che era fisicamente sanissimo. Glielo dicevo io gratis, che era fuori come una caldaia; ma tant’è, a me non crede mai…
La dottoressa di famiglia consigliò alla Mamma di lasciarlo qualche settimana a casa di sua madre, a Perugia (sua madre vive sola e sembra un generale prussiano) e poi di riportarlo nell’ambiente familiare, e così fu fatto, ma si rivelò inutile: dieci minuti dopo essere rientrato in casa, si scatenava di nuovo nel tentativo di matricidio. Fu pertanto ricondotto a Perugia, e lì rimase; fino alla dipartita, avvenuta cinque anni fa per infarto.
La dottoressa ipotizzò che Ubaldo fosse un rarissimo esemplare di maschio dominante – raro perché, com’è noto, noi gatti siamo bestie solitarie; mica facciamo branchi, come i cani – e che la Mamma, con la sua arrendevolezza nei suoi confronti, l’avesse viziato, mandandogli messaggi da membro sottomesso del branco e scatenando in lui impulsi di dominio. Infatti sua madre (sua della Mamma, non di Ubaldo), che è una persona molto meno arrendevole, non ebbe mai alcun problema con lui; benché un’estate, essendo la Mamma e lo Zio Panda andati in vacanza in Spagna ed avendoci lasciato a casa sua (che le venisse il bene), abbia passato un brutto momento perché Ubaldo si era scatenato di nuovo, aggredendo la mite Iris. Una cosa era chiara: all’età di tre anni, Ubaldo aveva deciso che non sopportava altri gatti all’infuori di lui.
Ora, il povero Ubaldo è morto, e Martino insiste che non si deve parlar male di lui. Ha detto "De mortuis nisi bonum" e quando io ho strabuzzato gli occhi e l’ho pregato di non parlare ebraico in mia presenza (mica perché io sia antisemita, per carità, è che l’ebraico mi è un po’ ostico), mi ha guardato con un certo disprezzo e mi ha detto che era latino (mah). Comunque, la buonanima è diventato un personaggio del teatrino della Mamma e dello Zio Panda: lo chiamano L’Ingegnerone (e ogni tanto canticchiano un motivetto stile rap che fa "Ingegnerone, bell’animalone…"… è evidente che ogni tanto gli s’inceppa la manopola che regola il senso del ridicolo) e imitano le urla che faceva quando attaccava qualcuno, pensando forse che tutti gli ingegneri facciano così.
Chi li capisce è bravo, dico io.
I Licaoni del Liscio
L’estate in cui la Mamma e lo Zio Panda erano andati in Spagna, che Iddio distrugga la loro casa, io non sono mica rimasta sempre lì a farmi crescere l’erba sotto le scarpe (che manco ho): ho preso il break e sono andata in giro a procurarmi scritture.
Ora, è d’uopo spiegare che cinema e letteratura sono pieni di gente che ha un sogno e che, nel vano tentativo di realizzarlo, se va bene va a fare qualcosa che con l’agognata mèta c’entra solo di sguincio – quando non si trova a fare lo svuotacestini al McDonald’s o il lavavetri ad un incrocio della Tuscolana. Avevo un amico inglese (abita a Dover) che voleva fare il pilota d’aerei per la British Airways e che è riuscito al massimo a fare le pulizie sulle navi di linea da e per la Francia (ci plana sopra e si tuffa in picchiata nei cestini dell’immondizia: dice che la gente butta via di tutto, panini interi al bacon, pacchetti di Cadbury, CD dei Kings of Convenience…). Io, temo, non faccio eccezione. Sono una musicista rock, ma sono in pochi a saperlo e ad apprezzare la mia musica; così mi sono organizzata un gruppo folkloristico di liscio, che suona musica popolare a richiesta nei locali del Centro Italia (il locale che più ci scrittura è "La Sgurgola Marsicana"). La band si fregia dell’esotico nome "I Licaoni del Liscio" ed è composta, nell’ordine, da:
Me (naturlich), Susanna von Strohmenger (di cui abbiamo una diapositiva): sono la vocalist e suono anche la chitarra (la Fender Stratocaster).
Aristogìtone Ngouma (il licaone eponimo): è africano, viene dal Congo francese (che adesso vattelapesca come si chiama: quei paesi lì cambiano nome e regime ogni due per tre) alle percussioni. Una volta, per difendere la soave Iris da un pestaggio fraterno, ha suonato per mezz’ora "Light my fire" sulla testa dell’Ingegnere di sinistra memoria. E’ laureato in legge, ma dubito abbia mai esrcitato in vita sua.
Ibadeth Hysa, una verde e fascinosa creatura, un ramarro, a occhio e croce, che suona il violino ed è specializzata in musiche balcaniche. Per merito mio o mia colpa, a seconda, (poi vi spiegherò) è la felice sposa di:
Tarquinius Lalibela, che sostiene di venire dalla Terra di Gondwana ed è un suricate. Suona la fisarmonica e, nel tempo libero, scolpisce bassorilievi il legno d’acero con scene tratte dai miti della creazione (che volete, ognuno ha le sue fissazioni).
Filòstrato Sousa da Silva, il nostro flautista (quasi) cieco, a cui ho salvato la vita io (poi vi dirò). E’ portoghese, viene da Madera e, ovviamente, canta fados. Manco a dirlo. E’ lo stereotipo fattosi pipistrello.
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