Oggi sono andata a prendere Maysa la lince al laboratorio d’analisi e siamo andate da Imdiazen a mangiare un po’ di cibo orientale. Mentre Maysa si strafogava di couscous – brontolando che il suo è moooooolto meglio – le ho chiesto a bruciapelo (cosa che di solito non conviene né a me né a lei): "Maysa, che cos’è l’autostima per te?"
"Sonasega" ha bofonchiato nel mezzo di una palata di couscous. Io sono andata a versarmi una tazza di thé alla menta dal bricco d’argento posato sul tavolino e poi ho commentato: "Maysa, se ogni tanto lasciassi da parte codesto linguaggio da portuale livornese e mi rispondessi a tono, pensi che sarebbe per te una così grave caduta di stile?"
"Sei sempre lì che brontoli, da quando ti hanno operato, Susanna" ha detto lei guardandomi di traverso.
"O beh, quanto meno io ci ho la scusante, ma tu rugli sempre e a te nemmeno t’hanno mai fatto l’antipolio…"
Stranamente si è messa a ridere.
"Vuoi sapere cosa penso dell’autostima? Non so che dirti. So solo che ti dovessi indicare le persone che ce l’hanno, sarebbero molto poche. Non ho mai capito se sono iellata io o fa parte della condizione umana. Ma poi, scusa, se non lo sai tu…"
"Ma che ne so, io. Però da che dipende, secondo te?"
"Dai genitori, penso" ha risposto con una certa sicurezza.
"Dai genitori che per fartela venire fanno cosa? Ti coccolano, ti lodano, ti comprano tutto quello che vuoi, ti riempono di calci in culo per temprarti il carattere…"
"In quel modo ti temprano il culo, al massimo. Ti coccolano… sì, ma non troppo. Ossia, ti fanno capire che ti vogliono bene, ma ti insegnano a cavartela da solo. Ti lodano… Sì, lodarti ti devono lodare, certo…"
"Ma quando te lo meriti, magari" ho suggerito io "Se no diventi narcisista"
"Già" Ma non pareva molto convinta. "Comprarti tutto quel che vuoi, no. Dopo, se ti negano qualcosa sfasci la casa dagli urli. Ma neanche comprarti proprio niente niente... o peggio, comprarti qualcosa di scarso valore... qualcosa che rispetto a quello che hanno gli altri è una patetica contraffazione. Ossia: regalarti cose utili, o cose belle di buona fattura, per farti capire che per te vale la pena spendere soldi. O tempo. Non solo soldi. Senza stare a tua perenne disposizione, quello no, ma investire del tempo su di te. Devono farti capire che non è sprecato il tempo che passano con te. Che ne vale la pena, che è piacevole, importante; anche se non sei l’unica cosa della loro vita."
Mi sembrava che, per essere una che aveva esordito dicendosi scarsamente informata sulla questione autostima, Maysa avesse le idee abbastanza chiare e non stesse dicendo delle totali scemenze.
"Ti faccio un esempio a caso" ha proseguito Maysa "Io"
"Ci avrei giurato" ho bofonchiato io.
"Quando ho cominciato a lavorare sono andata a vivere da sola e un giorno ho pensato d’invitare a pranzo i miei genitori e gli zii. Ma a lungo l’ho solo pensato, non gliel’ho chiesto. Ero sicurissima che non avrebbero nemmeno preso in considerazione l’idea di venire da me e farsi preparare un pranzo. A pranzo si andava da loro. Mai fosse che loro andassero a pranzo da figli e nipoti. Capito?"
"Ho capito. Non avevi il coraggio di chiederglielo. E poi? Li hai invitati?"
Maysa la lince si è messa a sghignazzare. "Sì, li ho invitati. L’ho detto a Fabia e lei mi ha detto: ‘E perché mai non dovresti essere in grado di preparare un pranzo come tutti? Sei cionca? Tu invitali, se poi non ci vengono devi essere convinta che il problema è loro, non tuo’. Allora li ho chiamati. Gli zii non hanno nemmeno preso in considerazione l’invito; i miei sono venuti, ma si sono portati il pranzo"
"Dolce Gesù" ho detto io, senza fiato.
"Naturalmente gliel’ho fatto notare e mia madre ha detto che l’aveva fatto per aiutarmi, solo che io ero così acrimoniosa che sono riuscita a trasformare un semplice gesto di squisita cortesia in un insulto alla mia integrità fisica e spirituale"
"Vai a rileggerti il quinto capitolo dei Promessi Sposi per vedere come si fa ad insultare la gente facendo a apparenti gentilezze" ho ribattuto io. "E tu, che hai detto?"
"Più o meno quel che hai detto tu, senza la citazione dei Promessi Sposi" ha riso lei. "Comunque, mi sono convinta che aveva ragione la Fabia: il problema era il loro, non il mio. E’ lì che è cominciata l’autostima, io credo. Non che io abbia soldi, una laurea o due, un buon lavoro o quel che ti pare. E' che ho iniziato a credere che io sono degna di considerazione anche se…"
Ho pensato che si fosse interrotta, ma non era così: aveva proprio finito il discorso.
Io sono degna di considerazione anche se.
Voce del verbo "anche se".
"Sonasega" ha bofonchiato nel mezzo di una palata di couscous. Io sono andata a versarmi una tazza di thé alla menta dal bricco d’argento posato sul tavolino e poi ho commentato: "Maysa, se ogni tanto lasciassi da parte codesto linguaggio da portuale livornese e mi rispondessi a tono, pensi che sarebbe per te una così grave caduta di stile?"
"Sei sempre lì che brontoli, da quando ti hanno operato, Susanna" ha detto lei guardandomi di traverso.
"O beh, quanto meno io ci ho la scusante, ma tu rugli sempre e a te nemmeno t’hanno mai fatto l’antipolio…"
Stranamente si è messa a ridere.
"Vuoi sapere cosa penso dell’autostima? Non so che dirti. So solo che ti dovessi indicare le persone che ce l’hanno, sarebbero molto poche. Non ho mai capito se sono iellata io o fa parte della condizione umana. Ma poi, scusa, se non lo sai tu…"
"Ma che ne so, io. Però da che dipende, secondo te?"
"Dai genitori, penso" ha risposto con una certa sicurezza.
"Dai genitori che per fartela venire fanno cosa? Ti coccolano, ti lodano, ti comprano tutto quello che vuoi, ti riempono di calci in culo per temprarti il carattere…"
"In quel modo ti temprano il culo, al massimo. Ti coccolano… sì, ma non troppo. Ossia, ti fanno capire che ti vogliono bene, ma ti insegnano a cavartela da solo. Ti lodano… Sì, lodarti ti devono lodare, certo…"
"Ma quando te lo meriti, magari" ho suggerito io "Se no diventi narcisista"
"Già" Ma non pareva molto convinta. "Comprarti tutto quel che vuoi, no. Dopo, se ti negano qualcosa sfasci la casa dagli urli. Ma neanche comprarti proprio niente niente... o peggio, comprarti qualcosa di scarso valore... qualcosa che rispetto a quello che hanno gli altri è una patetica contraffazione. Ossia: regalarti cose utili, o cose belle di buona fattura, per farti capire che per te vale la pena spendere soldi. O tempo. Non solo soldi. Senza stare a tua perenne disposizione, quello no, ma investire del tempo su di te. Devono farti capire che non è sprecato il tempo che passano con te. Che ne vale la pena, che è piacevole, importante; anche se non sei l’unica cosa della loro vita."
Mi sembrava che, per essere una che aveva esordito dicendosi scarsamente informata sulla questione autostima, Maysa avesse le idee abbastanza chiare e non stesse dicendo delle totali scemenze.
"Ti faccio un esempio a caso" ha proseguito Maysa "Io"
"Ci avrei giurato" ho bofonchiato io.
"Quando ho cominciato a lavorare sono andata a vivere da sola e un giorno ho pensato d’invitare a pranzo i miei genitori e gli zii. Ma a lungo l’ho solo pensato, non gliel’ho chiesto. Ero sicurissima che non avrebbero nemmeno preso in considerazione l’idea di venire da me e farsi preparare un pranzo. A pranzo si andava da loro. Mai fosse che loro andassero a pranzo da figli e nipoti. Capito?"
"Ho capito. Non avevi il coraggio di chiederglielo. E poi? Li hai invitati?"
Maysa la lince si è messa a sghignazzare. "Sì, li ho invitati. L’ho detto a Fabia e lei mi ha detto: ‘E perché mai non dovresti essere in grado di preparare un pranzo come tutti? Sei cionca? Tu invitali, se poi non ci vengono devi essere convinta che il problema è loro, non tuo’. Allora li ho chiamati. Gli zii non hanno nemmeno preso in considerazione l’invito; i miei sono venuti, ma si sono portati il pranzo"
"Dolce Gesù" ho detto io, senza fiato.
"Naturalmente gliel’ho fatto notare e mia madre ha detto che l’aveva fatto per aiutarmi, solo che io ero così acrimoniosa che sono riuscita a trasformare un semplice gesto di squisita cortesia in un insulto alla mia integrità fisica e spirituale"
"Vai a rileggerti il quinto capitolo dei Promessi Sposi per vedere come si fa ad insultare la gente facendo a apparenti gentilezze" ho ribattuto io. "E tu, che hai detto?"
"Più o meno quel che hai detto tu, senza la citazione dei Promessi Sposi" ha riso lei. "Comunque, mi sono convinta che aveva ragione la Fabia: il problema era il loro, non il mio. E’ lì che è cominciata l’autostima, io credo. Non che io abbia soldi, una laurea o due, un buon lavoro o quel che ti pare. E' che ho iniziato a credere che io sono degna di considerazione anche se…"
Ho pensato che si fosse interrotta, ma non era così: aveva proprio finito il discorso.
Io sono degna di considerazione anche se.
Voce del verbo "anche se".
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